Solo il 28,6% delle donne lavora, meno della metà degli uomini. La causa principale? Il carico familiare, ancora appannaggio della parte femminile della società e per alleviare il quale si fa ancora troppo poco
Sono stati resi noti, qualche giorno fa, i dati Istat sull’occupazione in Italia, relativi all’ultimo trimestre del 2023.
Poche le sorprese, decisamente prevedibili (purtroppo) le conferme, soprattutto sul versante dell’occupazione femminile.
Taranto si conferma, ancora una volta, una delle città italiane col minor numero di donne che lavorano: il tasso di occupazione femminile, infatti, si attesta sul 28,6% nella fascia 15-64 anni.
Un dato emblematico, che colloca il capoluogo ionico e la sua provincia al quartultimo posto, in Italia, dietro Caltanissetta, Crotone e Napoli, nonchè all’ultimo posto in Puglia: impietoso il confronto con Bari, in cui il tasso di occupazione femminile si aggira sul 43%, superando addirittura la media del Mezzogiorno e avvicinandosi a cifre riscontrabili al Centro e al Nord Italia.
Notevole anche la sproporzione rispetto al corrispettivo maschile: la percentuale di uomini occupati a Taranto e provincia, nella stessa fascia d’età, sale al 58,1%, più del doppio.
Il numero di donne occupate nel capoluogo ionico e nella sua provincia è piuttosto inferiore anche alla media del Sud Italia, che si attesta sul 37,2% nonchè oltre la metà di quella riscontrata al Nord (62,9%).
Delle cause di questo triste e anacronistico risultato abbiamo già ampiamente dibattuto: in un contesto in cui è ancora estremamente difficile conciliare lavoro e famiglia, la donna è statisticamente la parte che spesso è costretta a lasciare la propria occupazione per potersi dedicare al carico familiare.
Sempre secondo l’indagine Istat, infatti, il motivo principale che induce le donne a restare a casa è quello legato alla famiglia, laddove per l’uomo la causa maggiore di inattività è legata al titolo di studio conseguito: i dati testimoniano che il carico familiare è addotto come causa di inattività da 2.600 donne e da appena 113 uomini. Un divario che esemplifica in maniera netta quanto i retaggi culturali incidano ancora, effettivamente, sulla nostra società.
È chiaro che, in un contesto simile, le politiche mirate alla conciliazione vita-lavoro e sostegno alla genitorialità assumono un significato decisamente rilevante ai fini dell’aumento dell’occupazione femminile: in particolare, sul nostro territorio, sono ancora troppo esigui gli strumenti a sostegno in tal senso, che possano agevolare concretamente la donna lavoratrice.
Non ultimo l’aspetto economico: spesso, infatti, la richiesta di contratti part-time per conciliare le tempistiche lavorative con quelle familiari, si traduce in una retribuzione minore che, da un lato penalizza ulteriormente l’autonomia economica femminile, dall’altro disincentiva le donne al lavoro stesso, dal momento che parte della retribuzione viene utilizzata per trovare strumenti di supporto (baby-sitter, servizio di accompagnamento, mensa ecc).