L’ex attaccante rossoblù, nel quinquennio 1974-79, sfoglia il libro dei ricordi per raccontarsi nelle varie stagioni della sua carriera. Con la città bimare fu subito amore a prima vista: «Il presidente Fico e il tecnico Mazzetti mi vollero a tutti i costi e i tifosi mi adoravano»
Con i suoi inconfondibili baffi ha alzato la Coppa del Mondo vinta dalla Nazionale in Spagna nel 1982. Alle soglie dei 30 anni il commissario tecnico azzurro, Enzo Bearzot, lo convocò per la chiara affidabilità ed esperienza accumulata in Serie A con le maglie di Cagliari e Torino. Al grande calcio della massima serie Franco Selvaggi, di professione attaccante, si affacciò dopo i cinque anni trascorsi nel Taranto dal 1974 al 1979. Un’esperienza che lo forgiò dalla testa ai piedi e al termine della quale ebbe in consegna la patente di giocatore di sicuro valore. La terra ionica lo accolse a braccia aperte: l’atleta lucano, nato a Pomarico in provincia di Matera, si fece coccolare ma poi ripagò il dolce debito con prestazioni di rilievo, gol, corse e tanto sudore. Con la tifoseria ne scaturì un rapporto sincero e immediatamente granitico. Mai messo in discussione neppure a quasi mezzo secolo di distanza, come sottolinea lo stesso Selvaggi, che il prossimo 15 maggio festeggerà 72 anni. I suoi sono dolci ricordi da raccontare con il cuore (rossoblù) in mano.
Selvaggi, con la maglia della Ternana esordi a 19 anni a Firenze per poi giungere a Taranto: con quale spirito accettò la proposta rossoblù?
«L’allora presidente della Ternana mi disse che sulle mie tracce c’erano tre società: Spal, Como e Taranto. Qualche tempo prima avevo visto una partita del Taranto a Matera e venni colpito dai colori delle maglie e dal calore dei tifosi. Il pubblico tarantino è sempre stato da Serie A. Scegliendo Taranto, inoltre, avrei giocato vicino casa».
Chi lo portò in riva allo Ionio?
«Mi volle il presidente Giovanni Fico, ma a richiedermi fortemente fu anche il tecnico Guido Mazzetti, che aveva precedentemente allenato a Perugia. Come detto prima, giocavo a Terni e lui ebbe modo di vedermi in rossoverde. Fico era per noi un padre: ci trattava come dei figli e ci dava tanta fiducia. Tanto che la firma sui contratti era una formalità, una semplice stretta di mano. Amava la sua squadra e per renderla più forte spendeva molto. Io stesso venni riscattato dalla Ternana per 120 milioni, una cifra importante».
Nella stagione 1977-78 il Taranto andò vicino alla promozione in Serie A, ma improvvisamente venne meno Erasmo Iacovone e il sogno svanì: la scomparsa del centravanti condizionò l’esito dell’annata?
«In quel campionato vincemmo la prima giornata con la Pistoiese, poi perdemmo 2-1 a Cremona e Bruno Pizzul, che era in telecronaca, disse: “non si comprende come abbia perso il Taranto” perché giocammo molto bene. Da allora non abbiamo più perso in casa sino a quando non incontrammo la Ternana, mentre fuori pareggiavamo spesso. Se Erasmo Iacovone non fosse morto avremmo centrato la promozione. In ogni caso nonostante non fosse più presente abbiamo lottato sino alla fine. Il calcio, a volte, prende strade particolari. Il mio più grande rammarico è non essere riuscito a portare il Taranto in Serie A».
Nel corso dei suoi cinque anni rossoblù si mise in luce con gol e ottime prestazioni, quali occasioni di cambiare squadra si presentarono durante il periodo tarantino?
«Nell’estate del 1975 si fece avanti il Milan. Purtroppo durante un torneo estivo feci i conti con un grave infortunio, tanto da rimanere fermo quattro mesi. Rimasi a Taranto e Fico, siccome ero il suo pupillo, aumentò anche il mio stipendio».
Che tipo di città era Taranto allora?
«Una città bellissima, che aveva tanto entusiasmo per la squadra. Non potevamo camminare per strada che subito ci fermavano. Mai cambierei i 5 anni di Taranto con altrettante stagioni in Serie A. Guardi le racconto questo: una volta un giornalista mi chiese cosa avrei risposto alle lusinghe dell’Inter, che mi stava cercando, e io dissi che avrei detto di sì. Successivamente mi domandò quale sarebbe stata la mia reazione se mi avesse cercato un’altra società di Serie B come il Taranto. Non tentennai e replicai che avrei giocato in B soltanto con il Taranto. Non avrei mai lasciato la città per nessun a altra società della Serie B».
Infatti, nel 1979 andò al Cagliari, che era in A: come approdò nella bella Sardegna?
«Mi richiese Gigi Riva e non potei dire di no. Il Cagliare si era fatto avanti anche l’anno prima, ma Fico aveva resistito. Una volta a Cagliari, il sorteggio della Coppa Italia mi mise contro il Taranto. Quando entrai in campo (5 settembre 1979, ndc) tutti i tifosi si alzarono in piedi per salutarmi. Giocai la gara e ogni qualvolta subissi fallo dal mio avversario i tifosi beccavano lui e non me».
Quali fattori, nel corso del tempo, hanno impedito al Taranto di centrare la promozione in Serie A?
«Sarebbe stata sufficiente una società facoltosa. Ovviamente i soldi non bastano, perché ci vuole anche un’ottima programmazione».
Lei non è stato soltanto un calciatore del Taranto, ma anche l’allenatore nella stagione 1992/93: cosa ricorda di quella esperienza?
«Arrivai in sostituzione di Diego Giannattasio, che era anche un mio amico. Stavo allenando il Catanzaro e lo lascia per andare al Taranto. Fu una questione di cuore».
Le piace il calcio di oggi?
«Il nostro era un calcio diverso, ma con questo non intendo dire che fosse meno bello o serio, Anzi. Era diverso a cominciare dalle presenze sugli spalti dalla A alla C, perché gli stadi erano sempre pieni. Oggi il calcio è prettamente televisivo e anche le parte di serie C sono visibili in televisione. Secondo me era più affascinante prima che non adesso».
Perché reputa quel calcio più affascinante?
«Direi per tante ragioni: il calcio italiano degli anni 80, tanto per incominciare, vedeva l’Italia al vertice mondiale. Tutti i calciatori del mondo erano qui da Maradona a Platini e Zico e con quest’ultimo ho giocato a Udine ed era un giocatore incredibile».
Da giovane campione in erba quali erano i suoi idoli?
«Senza dubbio Gigi Riva e Gianni Rivera. Avevo simpatie milaniste e una volta ricordo che nel 1973 andai a San Siro con la Ternana. Prima di entrare in campo mi ritrovai con Rivera e mi incantai. Fu allora che il mio capitano mi tirò un buffetto dicendomi: “guarda che è un avversario e tra poco ci giocheremo contro».
A Udine contro il Milan tenne a battesimo un giovanissimo Maldini appena 16enne, che impressione le fece?
«Avevo segnato diversi gol contro le più grandi del nostro calcio, ma mi mancava il Milan. Ecco in quel gennaio del 1985 lo feci. Avanti giocavamo io e Carnevale e al mio compagno di reparto dissi “vado dalla parte del ragazzino perché potrebbe essere più facile”. Passati pochi minuti dissi a Carnevale: “viene tu qui, perché questo è un fenomeno”. In ogni caso quel giorno feci un gran gol, premiato la sera alla Domenica sportiva».
in foto, tratta dalla pagina Facebook dell’ex rossoblù, Franco Selvaggi è in compagnia del presidente della Repubblica Franco Pertini, del commissario tecnico Enzo Bearzot e di Conti, esterno offensivo azzurro.