17 luglio 1994, Baggio, quello dai piedi buoni mette alto sulla traversa il rigore più importante della sua vita. L’Italia cade nello sconforto, noi bambini dell’epoca ci innamoriamo del calcio e del suo codino più nobile
L’attinenza con la Serie C, è relativa, ma cade oggi un anniversario iconico nella crescita pallonara di chi come noi, nasce negli anni ’80 e si innamora di un calcio che non c’è più.
17 luglio 1994, stadio Rose Bowl, l’Italia di Roberto Baggio esce sconfitta dalla finale del Mondiale americano, un’esperienza mistica per chi si affacciava al “pallone” per la prima volta.
Il Divin Codino, l’ultimo Maradona e la perfida infermiera, passando per Romario e Bebeto, prima di toccare la Nigeria di Jay Jay Okocha, Amokachi, e Oliseh. Il palo baciato da Gianluca Pagliuca, Hristo Stoičkov e la sua Bulgaria, l’Arabia Saudita di Al-Owairan fino ad arrivare a Virtua Striker ed i suoi gettoni, nelle sale giochi davanti al mare.
“Abbiamo ancora una tenue speranza, Roberto Baggio batterà il nostro ultimo tiro dal dischetto: se segnerà, ci sarà la speranza che i brasiliani sbaglino il loro tiro dagli undici metri. Roberto Baggio contro Pagliuca…contro, scusate, Taffarel. Ecco Roberto… alto! Il Campionato del mondo è finito, lo vince il Brasile, ai calci di rigore”.
La voce di Bruno Pizzul serve a calare il sipario, vero, ma non per tutti. Il segnale nero trasmesso simultaneamente dal tubo catodico piazzato in ogni balcone di quell’Italia così spensieratamente anni ’90, alzava il volume della tristezza nel cuore tutti ad eccezione di una generazione, la mia.
Quel rigore capace di segnare la vita del numero dieci italiano più forte di tutti i tempi, per noi bambini inconsapevolmente devoti al Karaoke nelle piazze, a Non è la Rai, piuttosto che a Bim Bum Bam alle 4 del pomeriggio, ebbe lo stesso effetto del Big Bang. Mentre qualcosa negli altri moriva di nuovo dopo la ferita intagliata da Caniggia nelle carni di una nazione, a noi si spalancavano le porte dorate di un Mondo, quello del calcio che da quel momento in poi, non sarebbe più stato lo stesso. Poco male, si sia perso. Poco male dover iniziare con una delusione, è la prima, ma di certo non sarà l’ultima.
Trent’anni, oggi da quel rigore. Trent’anni, oggi da Pasadena, luogo rimasto mitologia pura per noi trentacinque/quarantenni di oggi, cresciuti generazionalmente con il culto dell’America. Trent’anni, oggi da quel rigore di Roberto, che ci ha reso follemente innamorati del gioco più bello del Mondo, e di quell’uomo con il codino.