Il rischio è evidente: che il calcio a Taranto diventi vittima di una speculazione travestita da investimento. Che la città, ancora una volta, si ritrovi spettatrice impotente di un copione già scritto, dove i protagonisti sono imprenditori e politici ed i tifosi rimangono soltanto comparse
Taranto, il calcio cittadino, tra passione popolare e logiche di profitto. Svenduto, tra affari e politica non “vincolati” alla passione. Il calcio, a Taranto, non è mai stato solo sport. È identità, appartenenza, riscatto collettivo.
La tifoseria rossoblù ha vissuto, negli anni, momenti di gloria come di depressione, alimentata sempre da una passione che non ha mai conosciuto compromessi. Una passione vera, radicata, che si misura nei cori, nei sacrifici e in quell’orgoglio che nessuna retrocessione è mai riuscita a spegnere. Ma oggi quella stessa passione sembra tradita da una mediocre organizzazione societaria, al di là delle promesse di facciata e dei primi risultati sportivi, ottenuti in una categoria che non appartiene a quella maglia, che poco o nulla, appunto, ha a che vedere con la cultura sportiva cittadina.
La proprietà barese dei fratelli Ladisa appare lontana dallo spirito che anima la tifoseria e, come trapela dalle suggestioni che derivano dai comportamenti, sempre più vicini a logiche imprenditoriali che nulla hanno a che fare con la valorizzazione del calcio tarantino. La sensazione, peraltro molto condivisa sul territorio, è che il calcio a Taranto sia soltanto un “tramite”, un tassello all’interno di un disegno ben più ampio: quello dei Giochi del Mediterraneo 2026, occasione unica, straordinaria, di interessi privati e di ristrutturazioni infrastrutturali.
Lo stadio “Erasmo Iacovone”, il rinnovato complesso sportivo del Magna Grecia, le nuove piscine: impianti che potrebbero ridare slancio allo sport tarantino, ma che, invece, rischiano di trasformarsi in un gigantesco affare privato, immobiliare e logistico. Un business fatto di hotel, ristorazione, gestione di servizi e logistica, dove la squadra di calcio diventa poco più che un marchio da esibire. Utile solo a giustificare investimenti e concessioni.
E in questo scenario rimane difficile non scorgere la mano della politica. L’eventuale assegnazione di impianti di pubblica proprietà, gli interessi privati, le possibili alleanze occulte: tutto si intreccia in un gioco di poltrone e utili, che sembrano lasciare ai margini il vero cuore pulsante della città, ovvero i tifosi. Una tifoseria che non va illusa, che reclama rispetto, futuro, progettualità, e che invece vede i propri sogni trasformati in materia di calcolo economico.
Sorprende e preoccupa, al proposito, il silenzio della civica amministrazione. Il sindaco e la giunta tacciono, evitando prese di posizione, chiare, a tutela del calcio cittadino. Un silenzio che suona come assenso, o peggio ancora, rasenta la complicità.
Il rischio è evidente: che il calcio a Taranto diventi vittima di una speculazione travestita da investimento. Che la città, ancora una volta, si ritrovi spettatrice impotente di un copione già scritto, dove i protagonisti sono imprenditori e politici ed i tifosi rimangono soltanto comparse.
Ma la storia di Taranto, del calcio cittadino, insegna che la passione non si cancella. E che, se tradita, può trasformarsi in protesta, in opposizione, in rivendicazione. Perché il Taranto Calcio non è dei Ladisa, né dei politici di turno: è soltanto della sua gente.