Intervista all’onorevole, Fabrizio Cicchitto. Craxi, Berlusconi, i post comunisti: la storia d’Italia cambiò nel 1992. “Siamo stati vittime di un Colpo di Stato mascherato dalle inchieste giudiziarie”
La politica raccontata all’ombra degli ulivi, con il frinire delle cicale a dilatare i ricordi e il caldo umido della nostra estate. Fabrizio Cicchitto ragiona per corollari. Considera il pensiero un presupposto della verità. Circoscrive giudizi originali in spazi multiformi, frapponendo vicende personali all’imprescindibile lettura del presente.
Onorevole, perché presentare la rivista che lei dirige – “Civiltà socialista” – qui in Puglia?
“Semplice: la Puglia è terra dalle ricche tradizioni socialiste e riformiste. Penso a Di Vagno, a Salvemini, allo stesso Di Vittorio. Questa è la realtà che consente più di altri Sud del Paese l’incrocio suggestivo tra ‘Questione meridionale’ e pensiero meridiano”.
Il Pensiero meridiano di Albert Camus, ripreso in seguito da Franco Cassano.
“Si, è proprio così. La possibilità in estrema sintesi che il Mezzogiorno si affranchi dei suoi ritardi, economici e politici, attraverso la ricerca di un nuovo protagonismo euro-mediterraneo. Utilizzando semmai, così come si diceva una volta con linguaggio marxista, il giusto equilibrio tra struttura e sovrastruttura”.
La nostra, invece, è un’epoca che ha visto vincere a mani basse la struttura, gli aspetti economici, le logiche dedite al mero profitto, sulla sovrastruttura politica.
“Sono assolutamente d’accordo con lei. Tutto questo si è verificato per una serie di circostanza. E per precise responsabilità della sinistra post comunista”.
Si spieghi meglio.
“Si prenda l’esempio italiano. Caduto il Muro di Berlino, nel 1992 abbiamo assistito ad un Colpo di Stato mascherato dalle inchieste giudiziarie. Gli eredi di Togliatti volevano occupare lo spazio dei socialisti, prenderne il posto nel contesto locale e sulla scena europea. Peccato, però, fossero sprovvisti di cultura di governo, di una sensibilità riformista attrezzata per le sfide del tempo. Il risultato è stato, da quel momento in poi, come dichiarato da D’Alema in un’intervista di alcuni anni fa, la subalternità della sinistra al capitalismo e la cessione del primato della politica alla grande finanza internazionale”.
Cos’è per lei il riformismo?
“La lettura rapida del presente, le soluzioni migliori da offrire a problemi contingenti. La competenza conquistata con lo studio e il continuo approfondimento. Tutto quello, insomma, che non si sta facendo con il Pnrr e con lo sfacelo ormai in atto della nostra sanità pubblica”.
Lei è stato capogruppo di Forza Italia, quando il partito azzurro conseguiva percentuali di voto a doppia cifra. Qual è il suo ricordo di Silvio Berlusconi?
Berlusconi è stato un genio che concentrava su se stesso forti contraddizioni. Geniale nel costruire Milano Due, geniale nel pensare ad un sistema televisivo privato che cambiasse in profondità il costume degli italiani, geniale nell’aver portato il Milan ad essere la squadra di calcio più forte al mondo. In politica, invece, non ha saputo tradurre in riforme utili al Paese il grande consenso che ricevette da una fetta consistente di elettori”.
Aveva un rapporto di grande amicizia con Craxi?
“Si, Craxi lo aiutò a costruire – e a realizzare – uno schema di fuoriuscita dal monopolio pubblico della televisione italiana. Ma per il segretario del Psi la politica aveva un ruolo preminente su tutto il resto, a proposito di primati che oggi non ci sono più. Lui giocava la Champions, Berlusconi doveva disputare campionati di serie B…”.
E Berlusconi aiutò Craxi?
Per un certo periodo sì, poi dopo lo scoppio di Tangentopoli schierò le sue televisioni a sostegno delle battaglie del Pool di Milano. Capì che doveva riposizionarsi, che andavano cercate nuove alleanze. I giudici, dal canto loro, in quella fase non gli fecero pervenire neanche un avviso di garanzia. I guai per il Cavaliere cominciarono dopo quando, con la nascita di Forza Italia, volle occupare lo spazio che era stato del pentapartito durante la Prima Repubblica”.
Chi era il vero pupillo di Riccardo Lombardi, il leader della sinistra socialista, lei o Signorile?
“Lombardi non aveva pupilli, era del tutto estraneo a logiche di questo tipo. Riccardo esprimeva un grande fascino intellettuale, una dialettica ammaliante. Scriveva su un foglietto bianco due o tre parole e, da quelle, sapeva tirare fuori interventi che durassero anche alcune ore ad un comitato centrale o ad un congresso del partito. Straordinario. Sicuramente il politico italiano dotato di più visione che io abbia mai conosciuto. Signorile era un campione della tattica, io mi dedicavo di più allo studio dei temi economici, De Michelis alla definizione della macchina organizzativa. Ognuno di noi seguiva le proprie inclinazioni”.
Quali sono i giornali che legge più volentieri?
“Il Corriere della Sera e il Foglio sono quelli che prediligo. Gli altri mi annoiano, la loro faziosità ha traguardato orami i livelli di guardia democratica. La stampa italiana è parecchio involuta, al pari di altri settori della nostra società. Quando penso ad alcuni direttori di testate nazionali, mi chiedo come sia stato mai possibile promuovere una tale mediocrità in ruoli così rilevanti”.
Come si seleziona una classe dirigente in un’epoca contrassegnata dalla disintermediazione?
“Bella e difficile domanda. I partiti non ci sono più, le associazioni vivono una crisi di rappresentanza sempre più forte, dei giornali abbiamo già parlato. Credo che l’unica possibilità possa arrivare da una seria riforma del nostro sistema scolastico; la partita si vince, o si perde, su questo specifico terreno. Ma, con grande onestà, devo confessarle di non nutrire molte speranza per il futuro. Come dice il mio amico Rino Formica, l’Italia di questi anni ha pensato bene di sostituire gli uomini di Stato con i tarli di Stato…”.