di Vittorio Galigani
Società dilettanti. Si rileva il titolo. Gli si cambia la denominazione (tra dilettanti si può fare). Gli si mette una maglia rossoblu. Gioco per un anno allo stadio Italia, in attesa che sia di nuovo pronto lo Iacovone tirato a lucido. Nella stagione 2026/2027 rientro al “Salinella” rinnovato
La curva nord dello Iacovone, rasa al suolo, fa tristezza. Se ne vanno quasi trent’anni di storia sportiva, di cori, di sventolio di colori rossoblu, di fuochi d’artificio. Di entusiasmo e di passione. Di lacrime di gioia, di sconfitte brucianti.
Con loro si sta “spegnendo” anche il Taranto. Bistrattato, sconfitto, umiliato da un campionato anonimo. Un percorso che non appartiene alla sua tradizione. Il Taranto calcio, Società e squadra, sono sull’orlo di un precipizio. Ci si domanda quanto potrà ancora resistere il management (se è lecito chiamarlo ancora in questo modo). Inadempiente, inibito, accerchiato da creditori insoddisfatti “armati” per azionare le loro azioni di rivalsa. La squadra, svilita da protagonisti inadeguati, fuggiaschi ed economicamente insoddisfatti, oberata da penalizzazioni da guinness dei primati, si è già adeguata al pensiero di una retrocessione programmata.
Tra poco più di 18 mesi, a Taranto, si svolgeranno i Giochi del Mediterraneo (speriamo che i tempi vengano rispettati, evitando l’ennesima pessima figura) la squadra del Taranto (o quello che ne è rimasto) è stata sfrattata. Per questa stagione ospitata a Francavilla Fontana. Per quella a seguire si vedrà.
Di congetture, nel recente passato, se ne sono fatte in quantità industriale. La piazza forse più accreditata, “sponsorizzata” dal Commissario ai Giochi Massimo Ferrarese è sempre stata quella di Massafra. Lo stadio Italia, ristrutturato, una nicchia. Manto erboso in sintetico, capienza superiore alle tremila sedute. Non omologabile per la Lega Pro causa una larghezza, a 60 metri, insufficiente. Un vero peccato.
Con un però. La classifica precaria dei rossoblu. Lo spettro della annunciata retrocessione tra i dilettanti (ci si augura sia la serie D) ha riacceso, in taluni (furbacchioni da strapazzo), l’interesse per quella cittadina e per quello stadio. Una voglia smodata di anticipare i tempi all’insegna del non si sa mai.
Da mesi sulla “carcassa” del Taranto volteggiano personaggi dalla credibilità non accertata. Sulla punta delle dita si potrebbe usare un altro aggettivo meno qualificante. Ma lasciamo perdere. L’andirivieni di incertezze che hanno caratterizzato il percorso di Mark Colin Campbell. Un passo avanti tre indietro, hanno portato l’osservatore neutrale a dubitare, sulle sue credenziali e sulle reali intenzioni. Una trattativa che va avanti al ribasso. Magari a breve scopriremo che, il suo progetto, ambiva appropriarsi del Taranto a titolo gratuito. Anche in questo caso lasciamo correre.
Più recentemente si è proposto un personaggio discusso. L’avvocato Giovanni Di Stefano. Un uomo d’affari italo-britannico, presunto legale di Saddam Hussein, con precedenti esperienze nel mondo del calcio. Amico dichiarato (per sua ammissione, di Massimo Giove). Peccato parlasse tramite comunicati stampa. Proposte alle quali l’attuale proprietario non ha mai risposto pubblicamente.
Sulla duttilità di Giovanni Di Stefano nulla da eccepire. Perspicace al punto che, di fronte alla “indifferenza” di Giove, cosa ha fatto, ha rivolto le sue attenzione, guarda caso, proprio sulla compagine che fa calcio a Massafra. Poi si dice che a pensar male è peccato…
Società dilettanti. Si rileva il titolo. Gli si cambia la denominazione (tra dilettanti si può fare). Gli si mette una maglia rossoblu. Gioco per un anno allo stadio Italia in attesa che sia di nuovo pronto lo Iacovone tirato a lucido. Nella stagione 2026/2027 rientro al “Salinella” rinnovato. Qualcuno ha voluto anche insinuare che, su tale progetto, Giove e Di Stefano avessero concordato. Anche qui lasciamo perdere.
La trattativa è reale. Con un distinguo. A Massafra, per gestire un campionato di eccellenza, il presidente Fernando Rubino ed il gruppo di amici che lo affiancano, affrontano sacrifici notevoli. Dovuti al “tepore” della piazza. Ma anche alle difficoltà derivanti da uno stadio per ora interdetto al pubblico, ancora non omologato dalla Commissione preposta. La promessa è di ottenere a breve quella autorizzazione. Ma sono appassionati. Il titolo che gestiscono appartiene alla città. Ne sono coscienti. Massafra, però, non può, non deve rimanere senza calcio. Quella maglia giallorossa non deve scomparire. Non si possono favorire gli scopi, “particolari”, di terzi.
Rubino è un visionario. Piedi saldi a terra. Lo comprendi bevendoci un caffè. Difficile che Massafra arrivi a giocare in terza serie. Porte comunque “spalancate” a un partner (con portafogli sostanzioso) che voglia contribuire alla scalata in D. Senza fare ulteriori voli pindarici. Senza ricorrere a denominazioni “Global” o “LLC” meglio ancora “LTD” di matrice straniera. Soprattutto senza trasferire il titolo sportivo. Senza cedere quel 51 per cento della maggioranza. Senza cambiare la tradizione della maglia giallorossa.
Omettendo volutamente qualsiasi considerazioni su quell’imprenditore che, a Massafra, “non si muove foglia che…non voglia” . Con un quesito: sicuro che, pur non essendo attratto dall’ universo del calcio, accetterebbe, in silenzio, “intrusioni” nella sua città?
Se poi l’avvocato Di Stefano desidera lo dimostri. Le foto ed i comunicati stampa, eventualmente, li faccia a posteriori.