di Francesca Leoci
Dalla scoperta di Metchnikoff alle ultime ricerche: come l’alimentazione moderna e i cibi industriali stanno uccidendo il nostro “secondo cervello”, compromettendo la nostra salute mentale e fisica
L’industrializzazione alimentare, che caratterizza le nostre vite da decenni, influisce negativamente sulla nostra salute e, in particolare, sul nostro microbioma intestinale. Ma cos’è esattamente il microbioma?
All’interno dell’intestino vivono miliardi di batteri e, contrariamente a quanto si possa pensare, non tutti sono “cattivi”: il 99% di essi ci aiuta a mantenerci in salute. Questi batteri benefici riducono le infiammazioni e rafforzano il sistema immunitario, rendendolo meno incline a sviluppare malattie autoimmuni. È interessante notare che circa il 70% del sistema immunitario risiede proprio nell’intestino: qui i batteri lo addestrano a reagire contro organismi nocivi e producono sostanze chimiche essenziali per il nostro benessere.
La scoperta del microbioma

Una delle scoperte più significative risale all’inizio del ‘900, quando il biologo Metchnikoff, vice-direttore dell’Istituto Pasteur, fu il primo a ipotizzare che gli alimenti fermentati potessero essere benefici per la salute. La sua intuizione si è rivelata corretta: oggi sappiamo che i batteri intestinali producono acidi grassi a catena corta (SCFA) attraverso la fermentazione delle fibre, migliorando l’integrità della barriera intestinale, il metabolismo del glucosio, dei lipidi e del colesterolo, e regolando il sistema immunitario.
Il muco intestinale svolge un ruolo cruciale come barriera selettivamente permeabile. Una dieta povera di fibre può costringere i microbi a nutrirsi di questo strato protettivo, causando infiammazioni e alterazioni del microbioma che possono portare a patologie come le malattie infiammatorie croniche intestinali o la sindrome del colon irritabile.

Microbioma: l’impatto sulla salute mentale
Il microbioma svolge un ruolo fondamentale nel nostro organismo, influenzando non solo la digestione ma anche le nostre emozioni e il nostro comportamento. L’intestino, considerato come il nostro “secondo cervello”, raccoglie informazioni e invia segnali alla nostra “testa”, mentre i microbi trasmettono messaggi che influenzano sensazioni come fame, rabbia o nervosismo.
La composizione del nostro microbioma è determinata da ciò che mangiamo, dallo stile di vita che conduciamo e dalle esperienze che viviamo. È interessante notare come non sempre sono le emozioni che influenzano l’intestino, ma possono essere gli alimenti che, agendo sull’intestino, influenzano a loro volta il cervello. Un aspetto comune in chi accusa problemi intestinali ha quasi sempre anche problemi legati al cervello. Recenti studi del San Diego Supercomputer Center hanno infatti dimostrato come la mancanza di alcuni batteri intestinali possa influenzare i processi chimici cerebrali, contribuendo a disturbi come depressione, autismo e Parkinson.
Alimentazione industriale e cibi ultra processati
Diversi fattori della vita moderna hanno contribuito a ridurre la diversità del microbioma: i cambiamenti ambientali, le scelte alimentari industriali, l’aumento dei parti cesarei, l’uso del latte artificiale per i neonati, l’eccessiva igiene e l’uso frequente di antibiotici. Una ricerca della Fondazione Aletheia ha evidenziato che in Italia circa il 14% delle calorie proviene da alimenti ultra processati (ne parliamo in questo articolo), con un aumento del consumo del 36% negli ultimi 20 anni.

Il microbioma “industrializzato”, tipico delle società occidentali moderne, risulta essere meno sano e potrebbe essere la causa di molte malattie gravi. Secondo i dati del 2023, tra le patologie croniche più diffuse troviamo obesità (11,8%), diabete (6,6%), ipertensione (45%) e allergie alimentari.
Privati dei loro nutrienti naturali, i cibi ultra processati vengono arricchiti con sostanze chimiche, additivi, aromi e conservanti, e contengono elevate quantità di zucchero. Molti consumatori vengono ingannati da etichette che presentano questi prodotti come salutari, enfatizzando il basso contenuto calorico o l’aggiunta di vitamine. Ovviamente, una grande truffa.
La differenza tra cibi naturali e processati si riflette anche nel processo digestivo. Gli alimenti processati vengono assorbiti rapidamente nei primi centimetri dell’intestino tenue, causando picchi di zucchero nel sangue. Al contrario, le fibre delle verdure vengono assimilate gradualmente lungo tutto l’intestino, garantendo una digestione più equilibrata. Una digestione completamente diversa, insomma.
È evidente come le popolazioni che seguono un’alimentazione tradizionale mostrino una maggiore diversità microbica rispetto a quelle con diete industrializzate. Per ripristinare un microbioma sano, è necessario reintrodurre gradualmente i nutrienti necessari, permettendo ai microorganismi di riadattarsi progressivamente.
Mantenere un microbioma sano
Per mantenere un microbioma sano, è necessario creare un ambiente favorevole ai microrganismi benefici. I batteri nel nostro organismo necessitano quotidianamente di fibre alimentari, provenienti da frutta e verdura: circa 28-40 grammi al giorno. Purtroppo, in Italia la media di assunzione è di soli 17 grammi. Le fonti principali di fibre includono: frutta fresca con buccia, frutta secca, legumi, verdure, cereali integrali, semi e cioccolato fondente. La chiave è mantenere un’alimentazione quanto più varia possibile.
È fondamentale, inoltre, l’assunzione di prebiotici (fibre alimentari) e probiotici. I prebiotici si trovano in frutta, verdura, legumi e cereali integrali, mentre i probiotici sono microrganismi vivi presenti in alimenti fermentati. Per essere considerato probiotico, un alimento deve contenere almeno un miliardo di cellule vive per porzione giornaliera, quantità necessaria per colonizzare efficacemente l’intestino. Come anticipato prima, è essenziale anche limitare l’assunzione di cibi ultra processati.

La dieta di ripristino con il batterio L. Reuteri
Un recente studio condotto su adulti canadesi ha rivelato una strategia innovativa per ripristinare il microbioma intestinale compromesso dal nostro stile di vita occidentale. La ricerca, guidata dal team di Li, ha dimostrato come sia possibile reintrodurre batteri benefici ormai scomparsi dai nostri intestini a causa dell’industrializzazione. Come? Attraverso una combinazione di dieta mirata e l’introduzione di un batterio specifico, il Limosilactobacillus reuteri, ancora presente nelle popolazioni rurali della Papua Nuova Guinea, ma praticamente assente nelle società moderne.
La dieta sperimentale, denominata “dieta di ripristino”, si basa su alimenti semplici e poco processati: fagioli, patate dolci, riso e verdure varie, escludendo latticini e grano. La composizione prevede il 60% di energia da carboidrati, 15% da proteine e 25% da grassi, con un’importante presenza di fibre, ben superiore agli standard occidentali.
I risultati sono stati sorprendenti: nonostante una temporanea riduzione della diversità del microbioma intestinale, i partecipanti hanno mostrato significativi miglioramenti nella salute cardiometabolica. Particolarmente interessante è stata la capacità del batterio L. reuteri di stabilirsi nell’intestino quando abbinato a questa dieta specifica, evidenziando una forte sinergia tra alimentazione e flora batterica.
Una scoperta che potrebbe rappresentare una svolta nella prevenzione delle malattie croniche, sempre più diffuse nelle società industrializzate. Lo studio suggerisce che tornare a un’alimentazione più “ancestrale” potrebbe essere la chiave per migliorare il nostro benessere generale. L’evoluzione del nostro modo di mangiare ha inevitabilmente, ed evidentemente, un impatto diretto sulla salute del nostro microbioma intestinale. Solo un ritorno a modelli alimentari meno processati potrebbe rivelarsi risolutivo per il benessere della popolazione moderna.


