di Francesca Leoci
Oltre 3,5 milioni di persone colpite in Italia. Un fenomeno preoccupante che coinvolge aspetti psicologici, medici e nutrizionali. Dall’anoressia alla bulimia, passando per il binge eating: quali sono gli approcci terapeutici consigliati?
“Ma mangi abbastanza?”, “Vai in palestra per perdere peso”, “Ti sei vista? Sembri anoressica”. Frasi apparentemente innocue, scagliate con leggerezza in conversazioni quotidiane, ma che possono rivelarsi pugnalate per chi le riceve. Quante volte ci siamo lasciati guidare dall’impulso di commentare il corpo altrui, trasformando un’osservazione superficiale in un giudizio perentorio? Dietro quell’aspetto fisico che catalizza la nostra attenzione – che si tratti di magrezza estrema, sovrappeso o comportamenti alimentari insoliti – può celarsi un abisso di sofferenza ben più profondo di una questione estetica. Stiamo parlando dei disturbi del comportamento alimentare (Dca).
Cosa sono i disturbi alimentari?
Ogni anno, il 15 marzo, si celebra la Giornata del Fiocchetto Lilla, un’iniziativa volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle patologie complesse legate all’alimentazione, che colpiscono milioni di persone in tutto il mondo. In Italia, questi disturbi sono in costante aumento.

I disturbi alimentari sono gravi deviazioni di condotta che si manifestano attraverso modelli di alimentazione dannosi per la salute. Lo psicoterapeuta Armando De Vincentiis sottolinea come in questi disturbi l’aspetto psicologico sia sempre determinante, anche quando sono presenti cause organiche o genetiche. I più comuni sono: l’anoressia, che secondo De Vincentiis si distingue in due tipologie principali: quella “sacrificante”, paragonabile a uno sciopero della fame come forma di protesta relazionale, e quella “astinente”, legata a una percezione distorta del proprio corpo, dove la persona “si guarda allo specchio e nonostante l’eccessiva magrezza continua a dire ‘Mamma mia, come sono grassa’”. Altri disturbi includono la bulimia, la fame compulsiva (binge eating) e il disturbo da vomiting, caratterizzato da un “meccanismo perverso” dove l’assunzione e il rifiuto del cibo diventano un rituale fine a sé stesso.
Chi sono i più colpiti?
Una vera e propria epidemia silenziosa che negli ultimi anni ha colpito circa 3,5 milioni di persone in Italia, con un aumento del 64% rispetto al 2019. Un fenomeno allarmante che – complici i social network prima ed il Covid poi – ha registrato un fortissimo incremento di casi di bulimia nervosa, anoressia e binge eating, soprattutto tra i più giovani.
Se il 90% dei pazienti continua ad essere di sesso femminile, preoccupa l’escalation tra i maschi adolescenti, che ora rappresentano il 20% dei casi nella fascia 12-17 anni. L’aspetto forse più inquietante è l’abbassamento dell’età d’esordio, che secondo il Bambino Gesù può scendere fino agli 8-9 anni.
I numeri parlano chiaro: dal 2020, l’attività clinica dell’Unità di Anoressia è aumentata del 38%, con i day hospital passati da 1.820 a 2.420 nel 2024. Particolarmente drammatico il dato sui più piccoli: i pazienti sotto i 13 anni sono cresciuti del 50% in cinque anni, mentre anoressia nervosa e disturbo evitante-restrittivo dell’alimentazione hanno registrato impennate superiori al 65%.
Le cause dietro i disturbi alimentari
Nel labirinto dei disturbi alimentari, la scienza si muove ancora con cautela, senza aver identificato cause definitive. Come evidenzia De Vincentiis, nei casi di obesità Yo-Yo, caratterizzata da continui aumenti e perdite di peso, si riscontrano comportamenti disfunzionali: “Per queste persone ogni scusa è buona per non cominciare una dieta, oppure se la cominciano c’è sempre qualcosa che può far loro smettere”. Esistono inoltre disturbi spesso confusi con l’anoressia, come l’anginosofobia (paura di deglutire) e l’ortoressia, definita come “un’ossessione per i cibi buoni e salutari che porta a una eccessiva selezione alimentare con conseguente perdita di peso”.

Non si tratta solo di questioni individuali: il peso schiacciante di certi ideali di bellezza culturalmente imposti e il fenomeno sempre più diffuso del body shaming contribuiscono a creare un clima in cui perfezionismo e fragile autostima possono trasformarsi in comportamenti patologici. La dimensione biologica, con alterazioni nei meccanismi cerebrali e negli equilibri neurotrasmettitoriali, si intreccia con quella psicologica, dove ansia e depressione giocano un ruolo determinante.
I segnali d’allarme sono molteplici: dall’attività fisica compulsiva alle visite in bagno immediatamente dopo i pasti, dall’uso improprio di lassativi e diuretici fino alle conseguenze più severe come carie diffuse, fragilità ossea e pericolosi squilibri elettrolitici che possono mettere a rischio la vita stessa.
La guarigione è possibile
Quando il corpo e la mente vengono attanagliati dai disturbi del comportamento alimentare, la tempestività dell’intervento diventa cruciale. Il percorso di guarigione richiede un piano terapeutico articolato e personalizzato, dove la psicoterapia rappresenta il cardine di un processo di cura che necessita di monitoraggio costante.
Nei quadri clinici più compromessi, il ricovero in strutture specializzate diventa una necessità non procrastinabile. La forza di un trattamento efficace risiede proprio nella sua natura multidimensionale: un’orchestra di professionisti che lavorano in sinergia, dove il medico vigila sulle complicanze fisiche generate dalla malattia. Parallelamente, lo psicologo esplora e affronta le distorsioni cognitive attraverso approcci validati come la terapia cognitivo-comportamentale o, quando opportuno, coinvolge l’intero sistema familiare nel processo terapeutico.
Il nutrizionista completa questo triangolo assistenziale, accompagnando il paziente in un graduale riavvicinamento al cibo attraverso piani alimentari strutturati e un’educazione nutrizionale che smantella falsi miti e convinzioni disfunzionali, ricostruendo un rapporto sano con l’alimentazione. (Qui un articolo sull’educazione alimentare).