In un mondo che cambia, che muta ad una velocità sostenuta, la politica resta sempre la stessa. Con i suoi rituali. Con le sue lungaggini senza senso. Con l’esibizione di un machismo finto, poco virile. Il pessimo esempio del centrodestra tarantino
Di troppa melina si può anche morire. D’implodere politicamente. Di distanziare ancora di più la democrazia rappresentativa e gli elettori. Tavoli troppi, risultati pochissimi. Falegnami all’opera ancora di più, ma di Geppetto neanche l’ombra. Il mondo cambia, la velocità si è mangiata il pensiero, i giornali si scrivono ormai con la sola intelligenza artificiale, sulle nostre vite soffiano venti di guerra. Tutto è cambiato, se ci pensate. In un arco temporale neanche troppo lungo, alla fine. Ma la politica, con i suoi rituali, con le sue trattative che non risolvono ma complicano, è rimasta tale e quale. Come quel soldato giapponese che, a conflitto bellico ormai terminato, si preparava ancora a combattere nell’isolamento estraniato della foresta. L’esempio plastico di questa condotta è rappresentato dal centrodestra tarantino, alle prese con la scelta del candidato sindaco da presentare agli elettori per le prossime Amministrative di maggio. Di nomi tanti, troppi, quindi nessuno.
Lasciamo stare il progetto che, per ognuno di essi, di questi nomi intendiamo, dovrebbe precedere e non seguire l’indicazione finale. Stiamo alla forma di queste estenuanti trattative, a Roma così come a Taranto, che per Benedetto Croce diviene sempre sostanza. Una forma pessima. Uno spettacolo deprimente. Il dosaggio alchemico di pesi e contrappesi, d’intrecci politico-economici, di un machismo poco virile nella difesa scomposta dei propri desiderata, di partiti divisi al proprio interno in derive correntizie, che hanno un solo effetto sugli elettori. Quello di allontanarli ulteriormente, ripetiamo, dalla pratica democratica. Di allargare il vulnus della disaffezione elettorale. Evidenziando, di fatto, l’esistenza di due mondi ormai inconciliabili nel Paese. Lontani l’uno dall’altro.
Con la politica e il suo notabilato da una parte; e la gente, i problemi reali, gli stipendi troppo bassi, il carrello della spesa sempre più vuoto, le bollette di luce e gas lievitate, le città sporche e in declino, dall’altra. Alla fine, la destra sceglierà il proprio candidato sindaco. Dovrà farlo per forza. Ma tutto il tempo che avrà impiegato, l’immagine che avrà dato di se stessa, i tempi lunghi di una scelta che doveva essere breve, resteranno. I nomi possono passare; i comportamenti, quelli no. Al pari della lingua, non ha ossa ma rompe le ossa.