Ma il calcio, a Taranto, interessa ancora a qualcuno? Al di là delle chiacchiere, e dei commenti da bar, di un’informazione locale troppo spesso parte del problema e non soluzione dello stesso. Giove ha le sue colpe, ma questo cattivo andazzo dura da anni. Anzi di più: dura da sempre
Era l’estate del 2012. Il calcio tarantino doveva essere rifondato sulle ceneri del fallimento ereditato dalla pessima gestione D’Addario. Occorrevano 300 mila euro, a fondo perduto, per poter ripartire, da ripescati, dal campionato nazionale di serie D.
Un manipolo di appassionati costituì la Fondazione Taras. Il calcio, sostenevano a torto, sarebbe stato salvato dai tifosi. I tempi lo hanno ampiamente dimostrato. Del resto la partenza, claudicante, aveva già dato segnali poco incoraggianti. La Fondazione, fallita la raccolta del denaro indispensabile, si concentrò sulla “chiamata” alle armi di alcuni imprenditori del territorio. Quei 300 mila euro, per il ripescaggio, furono “racimolati” soltanto all’ultimo momento (in zona Cesarini per usare un appropriato termine calcistico) e depositati brevi mano, presso la Lega Nazionale Dilettanti, sul filo di lana, allo scadere del tempo massimo.
Da quell’estate si sono succeduti ai vertici di F.C. Taranto 1927 srl almeno sette proprietari delle quote di maggioranza. I risultati economici sono sotto gli occhi di tutti. In tredici stagioni sportive ogni gestore, di passaggio, ha implementato la massa debitoria lasciandola in eredità al suo successore. Giove non è il solo artefice del fallimento. Gli errori a lui addebitabili, casomai, sono ben altri.
A Taranto si vive di pane e calcio, si dice in città. I fatti dimostrano che proprio così non è. Un contributo che offre il territorio non è sufficiente per garantire una gestione sostenibile. I presidenti del passato, Giovanni Fico, Vito Fasano ed altri, gestivano un calcio che aveva regole diverse, meno impegnative dal punto di vista finanziario. Gigi Blasi, nel passato meno remoto, è stato l’unico garantista.
Dopo le illusioni del periodo D’Addario è stato tutto più complicato. I progetti della Fondazione Taras si sono rivelati fragili, inutili, economicamente irrealizzabili. Ai vertici dell’azienda calcio si sono alternate maggioranze dai garretti deboli. La crisi del siderurgico ha trascinato nelle difficoltà anche le imprese dell’indotto ed ha messo in ginocchio le attività commerciali cittadine.
Riportato ai giorni d’oggi il calcio attrae, ma fino a mezzogiorno. Le difficoltà emergenti impauriscono chiunque. Riportare la squadra rossoblu tra i professionisti, partendo dal campionato di Eccellenza regionale, impone un impegno economico non indifferente, anche se diluito in 5/6 campionati. Sul progetto milionario, necessariamente pluriennale, influisce una ripartenza in salita vista l’iniziale carenza di impianti. Per un anno non sarà, infatti, disponibile lo stadio Iacovone come le altre strutture cittadine indispensabili per gli allenamenti. Sbaglia chi pensa che il nuovo stadio possa diventare una fonte di ricavi importanti per l’azienda calcio. Al suo interno non si potranno intraprendere attività collaterali. Per di più, nel presente, il Sindaco non può prendere impegni, con nessuno, sui costi della futura concessione d’uso della struttura. Impossibilitato, in questo, sino a lavori ultimati ed alla riconsegna dell’impianto.
Un’informazione approssimativa contribuisce nel mettere in circolo indiscrezioni non attendibili, vuoi per il disinteresse dei soggetti menzionati. E’ il caso di Luigi Blasi impegnato su altri fronti imprenditoriali. Vuoi per la scarsa credibilità di altri soggetti dal passato sportivo non brillantissimo o entità new entry, dal tanto fumo e poco arrosto, con attività di bilancio irrisorie. Altri ancora, dalla forza economica consolidata, ma con un interesse al di sotto dello zero per quanto attiene al sistema calcio.
I tempi ristretti complicano, non poco le cose. Poi, che attorno alla vicenda l’interesse sia tiepido, contrariamente alle aspettative, lo dimostrano i fatti. Nel calcio non si sa quello che non si fa. Di fronte ad un progetto reale il passaparola avrebbe contribuito a scoprire i giochi. Sarebbe stato per esempio allertato un segretario (indispensabile in avvio di attività), un allenatore che, a sua volta, avrebbe inevitabilmente chiamato i suoi collaboratori, qualche giocatore, suggerendo di non impegnarsi. Si sarebbe certamente sondato qualche agente di calciatori.
Nonostante il riserbo che la vicenda impone, il passaparola, come scritto sopra, sarebbe stato inevitabile. La confidenza alla persona più vicina o all’amico più fidato sarebbe diventata inevitabilmente di dominio pubblico. Invece, a poco più di un mese dall’inizio del campionato nulla di tutto questo. In tanti sperano, ma nessuno è stato contattato.
Come flebili sono i rapporti preliminari di taluni, interessati, con le Istituzioni nazionali e regionali del calcio, come con gli addetti della Civica Amministrazione. A meno che, come è nelle illusioni di qualcuno, in ambito cittadino, da un momento all’altro non si faccia avanti l’improbabile emiro del Bahrein per risolvere tutto a suon di milioni. Difficile però che i somari tornino a volare!