L’economia fugge via da Taranto perchè manchiamo di una classe dirigente. Di una proposta slegata dalla litigiosità permenente. Siamo una realtà acefala: senza una testa (pensante). E con un corpo gracile, denutrito
Taranto è città incompiuta. Metà protesta, metà improvvisazione. Manca il progetto. La visione. Una ricerca pensata di futuro. Il suo declino s’iscrive in questa bolla di litigiosità permanente. Nel conflitto sempiterno tra l’incerto e il probabile. Nell’assenza di leadership riconosciute (e riconoscibile). La vicenda tragicomica dell’Ilva, l’investimento prima preannunciato, e poi traslocato altrove dell’eolico offshore, il mancato varo di un piano di bonifiche, anche di navi che dovessero sopraggiungere nella rada di Mar Grande perché si possano ripulire di amianto, lo stato morente del Porto, segnano la sottrazione dell’economico. La sua ritirata per manifesta incapacità della politica. A tutti i livelli della filiera istituzionale: da quella centrale a scendere giù, sino agli ambiti periferici.
La notizia, complice un’informazione addormentata, cresciuta a copia e incolla, quasi mai sul pezzo, non è l’abbandono delle nostre desolate lande da parte d’imprese e relativi progetti industriali. La notizia, semmai, è un’altra. Risiede nelle domande che certificano la nostra natura. Nelle domande che t’incamminano verso un sentiero di verità. Perché si decide di andar via? Perché si abbandona l’imbarcazione non appena si annusi puzza di bruciato? Dove si spegne – e s’infrange – la carica emotiva della proposta nei nostri territori? La risposta è una soltanto, semplice e desolante al tempo stesso. Non abbiamo interlocutori con i quali pianificare interventi, orientare gli investimenti, organizzare l’avvenire.
Siamo una realtà acefala, senza un testa pensante. Parlamentari modesti. Consiglieri regionali impalpabile. Enti locali popolati, per grandi linee, da mestieranti senza un mestiere. Dei giornali, quei due o tre fogli che ancora resistono, abbiamo già detto. Sindacati e associazioni di categoria vivono il loro personale canto del cigno, non avendo ancora compreso quanto la modernità respinga l’intermediazione. Considerandola nient’altro che un arnese del Novecento. Un intralcio alla velocità dell’effimero. Al contrario dell’Ulisse di Dante, non sappiamo andare oltre. Tutte palle (eoliche e non). Il Paradiso dei perdigiorno.


