Quando arrivarono in città, i fratelli Ladisa furono accolti con enfatico entusiasmo. Le loro parole, i proclami, le promesse di rilancio trovarono terreno fertile in una piazza che da anni aspettava un segnale di serietà e ambizione. Purtroppo però, dopo le fanfare iniziali, il suono si è fatto muto
Taranto 2025, una squadra senza casa e senza progetto. Perché tra promesse, proclami e silenzi: il calcio tarantino è in cerca di una guida. C’è un paradosso tutto tarantino, oggi, nel parlare di calcio. Abbiamo una Società (e una squadra) che rappresenta la città, ma che in città, di fatto, non ci sta mai.
La S.S. Taranto 2025 ha infatti la sede ufficiale, come recita il suo Statuto, presso lo stadio Iacovone, peccato però che lo stadio sia oggi e per molto tempo ancora, soltanto un cantiere. Ruspe, betoniere, bagni chimici: il calcio, almeno lì dentro, è in attesa di ristrutturazione.
Nel frattempo, la società opera da Bari. È da lì che i fratelli Ladisa, attuali proprietari del club, prendono decisioni, gestiscono contratti, stabiliscono strategie. Un Taranto “a distanza”, con la logistica barese e il cuore, quello sì, ancora ionico.
Quando arrivarono in città, i fratelli Ladisa furono accolti con enfatico entusiasmo. Le loro parole, i proclami, le promesse di rilancio trovarono terreno fertile in una piazza che da anni aspettava un segnale di serietà e ambizione. Purtroppo però, dopo le fanfare iniziali, il suono si è fatto muto.
Sul campo, risultati asettici. Nella gestione, una sensazione crescente d’improvvisazione. Della “programmazione” tanto sbandierata si sono perse le tracce, e il famoso piano industriale “Taranto 2025” richiesto, in via preventiva, dalla Civica Amministrazione e dai vertici della Federcalcio, che avrebbe dovuto segnare una svolta, oggi è poco più che un titolo dimenticato, oggetto di una conferenza stampa.
Nel frattempo, si parla molto dei Giochi del Mediterraneo 2026 e dei conseguenti investimenti con denaro pubblico, oltre trecento milioni di euro, che trasformeranno il volto della città. Un’opportunità straordinaria, certo, ma che sembra aver spostato l’attenzione dei fratelli Ladisa più sulla gestione futura degli impianti che sull’originario e principale progetto sportivo del calcio Tarantino. Eppure, è proprio da lì che si misura la credibilità di una proprietà: dal rispetto delle promesse fatte alla città, non solo dagli interessi imprenditoriali che l’hanno effettivamente attirata.
Nessuno mette in dubbio le capacità dei Fratelli Ladisa come imprenditori, né la legittimità delle loro aspirazioni economiche. Ma chi si assume il compito e l’onore di rappresentare una comunità attraverso il suo principale simbolo sportivo deve saperne custodire anche l’anima. Deve inoltre riuscire a evocare quella passione, viscerale, che da sempre muove le menti e i cuori per i colori rossoblu. E qui, al momento, l’anima e la passione sembrano essere rimaste in “tribuna”.
Taranto non chiede miracoli. Chiede solo serietà, chiarezza, rispetto. Vuole sapere che fine ha fatto quel famoso piano industriale. Chiede di identificarsi in un progetto, non solo in un logo. Perché la squadra di calcio, in questa città, non è una società come tutte le altre. È un pezzo di identità collettiva, è un fatto di appartenenza, un luogo altamente emotivo, un modo, entusiasta, per potersi sentire ancora comunità.
E allora la domanda, per quanto attiene al calcio, è semplice, diretta e per la risposta non ammette ulteriori rinvii: signori Ladisa, quali sono i vostri tempi, i vostri metodi e i vostri obiettivi? Rendete pubblico, finalmente, il vostro Piano Industriale.
Taranto aspetta risposte. E merita molto. Certamente più dell’incomprensibile/inaccettabile silenzio, in materia, che attualmente accompagna una stagione mediocre.


