Il presidente di Federacciai stigmatizza la deriva demagogica della politica tarantina (e italiana). Oggi l’Ilva, anche senza carbone; domani il dissaltore; dopodomani chissà cos’altro. Manca una visione, una progettualità, un’idea che non sia fagocitata dalla dittatura dell’ordinario. La cultura del no nuova liturgia laica del Paese
Non c’è soltanto il destino ormai compromesso dell’ex Ilva nell’attacco che Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, rivolge alla politica tarantina. C’è dell’altro. Un non-detto reso esplicito, evidente dall’urgenza del momento. La reazione stizzita dell’economico, inteso come sistema di valori ed interessi precisi, nei confronti del decisore pubblico. Il discrimine resta sempre lo stesso: la cultura del no, elevata a nuova liturgia laica del Paese. Una sorta di feticcio utilizzato dai radicalismi disfattisti che abitano il nostro tempo. Se l’Ilva con il carbone non va bene, giustamente verrebbe da aggiungere; e l’Ilva senza carbone non va bene, egualmente, nella stessa misura, un problema si pone. E riguarda, direttamente, cosa si vuole fare da grandi. Divenire pesce, continuare ad essere carne, o muoversi in una terra di mezzo? Quella dell’opportunismo demagogico? Della deresponsabilizzazione permanente?
Qui non c’entra più l’industria, la siderurgia, la riconversione ecologica, i governi italiani, l’Europa. Il problema è scivolato più in profondità, in superficie restano le codardie. Le inconsistenze a vario titolo dei personaggi in campo. Non serviva Gozzi a ricordarlo, a ricordarcelo. Ma, considerato la delicatezza del momento, repetita iuvant. Specie per una città come Taranto con deficit evidenti nella pratica mnemonica. Incline nel dimenticare, adagiata sulla riva del fiume Lete: il fiume dell’oblio per la mitologia greca. Rassegnata alla dittatura dell’ordinario. E impossibilitata nell’acciuffare una visione neanche se, per dirla con le parole di Max Weber, dovesse recarsi al cinema pur di trovarla. La visione, of course. L’Ilva potrà anche chiudersi. E speriamo, giunti a questo punto, che lo si faccia quanto prima. Siamo stanchi degli accanimenti terapeutici che non regalano vita, ma ritardano la morte. Il problema, però, resta. Grande quanto una casa. Pronto a ripresentarsi sotto altre spoglie. Difficile sintonizzarsi con l’avvenire quando si vive il futuro come intralcio.


