È l’emendamento proposto dal Governo al ddl sulla valutazione del comportamento degli studenti, nel tentativo di far fronte a quella che si sta configurandi sempre più come una vera e propria emergenza educativa
“Vi ricordate la scuola di qualche decennio fa? Quella in cui le maestre avevano una mazza di legno sulla cattedra e non si facevano scrupolo ad usarla o ad allungare un ceffone, quando serviva. E noi genitori, a casa, aggiungevamo il resto!”.
“Quella sì che era educazione! All’epoca era impossibile che un genitore o addirittura uno studente picchiasse un professore: per gli alunni e le loro famiglie il docente era una figura sacra!”.
Vi sarà sicuramente capitato di ascoltare dal vivo o leggere sui social un dialogo simile, negli ultimi tempi.
È sempre così, quando qualcosa non funziona nel presente ci si aggrappa ad un passato mitizzato e, in molti casi, ripulito dalle criticità che presentava.
Se c’è, invece, qualcosa che abbiamo imparato (quasi tutti) al giorno d’oggi è che la violenza non costituisce mai la soluzione giusta.
Per un tradimento, un’offesa, un rimprovero, un brutto voto a scuola, per la fine di una relazione o una delusione di qualsiasi genere.
La violenza non educa. Mai.
E finchè non ce ne faremo tutti una ragione continueremo a vivere in un mondo paradossale, in cui le storture sono stigmatizzate in favore di altrettante storture del passato, come nel dialogo che ho riportato all’inizio.
Ancora una volta, sono i fatti a parlare chiaro: siamo di fronte ad un’emergenza educativa, quando parliamo delle aggressioni ai danni del personale scolastico, che da settembre 2023 ad oggi sono arrivate a quota 30.
L’ultima, in ordine di tempo, quella che sarebbe accaduta a Crispiano, come riportato da La Gazzetta del Mezzogiorno: un rimprovero, un invito a fare attenzione da parte del professore, e l’alunno minorenne gli scatena addosso una violenza tale da fratturargli la spalla.
Segno di una rabbia repressa, sicuramente, ma anche di un profondo disagio personale.
Spesso, in questi casi, si scatena la cosiddetta caccia al responsabile: “Colpa della famiglia, che si disinteressa dell’educazione dei ragazzi” oppure, come variante “Sicuramente la scuola deve ascoltare di più gli studenti e non pensare solo al profitto scolastico”.
Una sterile “caccia alla streghe” in cui a perdere è l’intera società.
Altrettanto indubbio, però, è che dei punti chiave per capire questa escalation di aggressioni contro docenti e personale ATA è il ruolo della famiglia, passata da complice delle violenze sui figli da parte dei professori a quello di complice o addirittura artefice degli stessi comportamenti aggressivi in senso opposto: il 111% dei casi, infatti, si rifà proprio ai genitori.
A questo punto si potrebbe parlare di una serie infinita di spunti di riflessione: sul rapporto sempre complesso e problematico tra scuola e famiglia, i luoghi privilegiati dell’educazione nella minore età ma che spesso non collaborano e non condividono un progetto educativo sui ragazzi, restando separate da una incomunicabilità di fondo in cui, spesso ciascuno (o almeno uno) dei due ha la presunzione di avere la verità in tasca, in una lotta improduttiva e dannosa.
Oppure sulla necessità di un intervento da parte delle istituzioni, troppo spesso assenti: quanti docenti, negli ultimi mesi, hanno lamentato di sentirsi abbandonati ed esposti a questo tipo di battaglia?
Ed è anche per dare una risposta a queste sacrosante lamentele che il Governo ha messo a punto, proprio nella giornata di ieri, un emendamento al ddl sulla valutazione del comportamento degli studenti, che prevede multe dai 500 ai 10mila euro per gli studenti che aggrediscono il personale scolastico, senza distinzione tra docenti, dirigenti e ATA.
Inoltre, la sospensione condizionale della pena è subordinata all’effettivo pagamento della somma stabilita come risarcimento pecuniario. Questo significa che gli studenti che non pagano la multa non potranno beneficiare della sospensione della pena.
La misura prende spunto dal caso di aggressione al dirigente della scuola tarantina avvenuto qualche settimana fa e balzato all’attenzione della stampa nazionale: “Toccando anche nel portafoglio chi è responsabile dell’educazione dei propri figli, forse un’inversione di rotta si riuscirà ad ottenere”, aveva dichiarato il ministro dell’istruzione, Giudeppe Valditara, che aveva parlato anche dell’ipotesi di un presidio delle forze dell’ordine in alcune aree a rischio.
Insomma, il Governo prende posizione sulla questione, ma è chiaro che per fronteggiare efficacemente questa emergenza educativa sarà come sempre necessario uno sforzo corale, attraverso campagne di sensibilizzazione e progetti che coinvolgano scuola e famiglia soprattutto, ma anche tutti quei luoghi deputati alla formazione dei ragazzi.