Il gender gap nel mondo del lavoro italiano appare chiaro dai dati dell’ultimo report Bes 2023 dell’Istat e mostra l’esistenza anche di marcate differenze regionali, oltre che il fallimento delle politiche messe in campo finora per conciliare i tempi lavoro-famiglia
“Lei ha le referenze giuste per il nostro impiego: la segnalo subito per un part-time”.
“Mi scusi, come mai per un part-time?”
“Beh, è donna, sposata con figli, non vorrà mica un full-time?”.
Questo dialogo accadde realmente, qualche anno fa, alla sottoscritta, ed è rimasto nella mia memoria come esempio chiarissimo di quanto il gender gap influenzi pesantemente il mondo del lavoro in Italia.
Se sei donna i carichi familiari spettano a te, c’è poco da fare.
Stereotipi? No, dati di fatto, per di più certificati in maniera inequivocabile dall’ultimo report dell’Istat, il “Rapporto Bes 2023: Benessere equo e sostenibile in Italia”, pubblicato nella giornata di ieri.
La percentuale di donne addette al cosiddetto part-time involontario è, infatti, tripla rispetto a quella dei colleghi uomini.
Nessuna variazione, poi, viene registrata nel rapporto tra il tasso di occupazione delle donne (di 25-49 anni) con almeno un figlio in età prescolare e di quelle senza figli: sebbene il tasso aumenti per entrambe, il rapporto, a svantaggio delle madri, non mostra variazioni rispetto al 2022.
“Dal punto di vista della conciliazione lavoro-famiglia – si legge nel report – non si osservano apprezzabili miglioramenti e anche l’indice di asimmetria nel lavoro familiare – che misura quanta parte del tempo dedicato (da entrambi i partner) al lavoro domestico è svolto dalle donne – rimane stabile al 61,6%, interrompendo la tendenza al miglioramento osservata negli anni precedenti”.
Nello specifico, l’indice di asimmetria nel lavoro familiare – che misura, per le donne in coppia di età compresa tra i 25 e i 44 anni, quanta parte del tempo dedicato al lavoro domestico da entrambi i partner occupati è svolto dalle donne – rimane stabile (61,6% media 2022/2023 e media 2021/2022), interrompendo la tendenza al miglioramento osservata negli anni precedenti.
Il Mezzogiorno, inoltre, registra la percentuale più alta (70,0%), con una maggiore quota di tempo dedicato al lavoro domestico da parte delle donne, ed è in aumento rispetto alla stima del biennio precedente (+2,5 punti percentuali), mentre il Centro mostra una diminuzione (61,5% rispetto al 63,3%), stabile il Nord (58,9%).
Il tasso di occupazione nel nostro Paese aumenta rispetto agli anni precedenti, è ancora molto marcata la differenza di genere: il tasso di occupazione si attesta sul 76% per gli uomini e scende al 56,5% per le donne.
In conseguenza di quanto esposto sopra, inoltre ,il tasso di mancata partecipazione al mondo del lavoro è più alto nelle donne e al Sud
Il livello di istruzione della donna rimane un fattore discriminante per il contenimento di questi divari: il rapporto raggiunge quota 91,1 per le donne con almeno la laurea, è di 69,3 per quelle che hanno un titolo di studio secondario superiore, mentre crolla a 49,0 se hanno al massimo la licenza media.
Insomma, la donna per poter accedere più facilmente al mondo del lavoro deve avere un’istruzione alta, adattarsi al part-time e ad un susseguirsi di contratti a tempo determinato che la allontanano da una stabilità economica a lungo termine e, possibilmente, non avere figli e risiedere al Nord.
Dati, in definitiva, che sanciscono il fallimento delle politiche mirate ad incentivare l’occupazione femminile e la conciliazione dei tempi lavoro-famiglia, mostrando che quanto messo in campo finora a livello statale e locale è ancora insufficiente.