Spostare il miliardo per costruire i nuovi impianti green dell’ex Ilva nel Fondo europeo di sviluppo e coesione. Il governo starebbe pensando a questa soluzione. Sarebbe una sciagura. L’ennesima. Giù le mani dalla seconda città pugliese, emblema di una modernità in bilico tra profitto e qualità della vita
Revisione e nuovi guai. Il futuro prossimo di Taranto passa dalla riscrittura del Pnrr. Dalla possibilità, insomma, che il Governo decida – o meno – di tagliare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza il miliardo di euro necessari per la decarbonizzazione dell’ex Ilva. E, nel caso si propendesse per questa soluzione, non poter portare più a compimento la nascita di nuovi impianti alimentati a metano e idrogeno per la produzione di acciaio verde. L’ipotesi allo studio prevede di spostare il finanziamento del progetto in questione sul Fondo europeo di sviluppo e coesione. Cioè: sulle forme tradizionali di aiuto finanziario predisposte in Europa. L’Italia dovrà fornire una proposta di revisione dei programmi, contemplati nel Pnrr, entro la fine di agosto. Ballano oltre 20 miliardi di euro, il 10% degli investimenti precedentemente concordati. Una vera sciagura sembra delinearsi all’orizzonte per la seconda città pugliese. L’ennesimo colpo esiziale alle speranze di un new deal produttivo ed economico. Di un riscatto sociale e sanitario (i dati sul numero dei malati oncologici, specie per chi è colpito da un cancro ai polmoni, sono in preoccupante rialzo). Meloni e Fitto pensassero bene a ciò che andrà fatto. Se il Pnrr dovrà essere tagliato e cucito, riformulato, impostato su pochi e fattibili progetti rispetto alla miriade di proposte sin qui confezionate, facciano pure. Ma tengano giù le mani da Taranto. Il capoluogo pugliese non va toccato. Perche, se c’è una città dove misurare il grado di modernità di una civiltà in lotta contro il tempo e le sue contraddizioni, questo è il capoluogo jonico. Girate alla larga, per favore.