Con offerte basse e dubbi strategici, la Federazione Dirigenti di Taranto tem che si possano ripetere i fallimenti passati nella corsa alla privatizzazione dell’industria
La vendita di Acciaierie d’Italia solleva sempre più perplessità tra gli addetti ai lavori. A evidenziarlo è la Federazione Dirigenti di Taranto, che già a novembre aveva sollevato criticità sulla privatizzazione attraverso una dettagliata memoria. “L’effetto delle considerazioni e perplessità espresse è stato pressoché nullo – dichiarano Roberto Pensa e Michele Conte, autori dell’analisi – poiché le cose sono proseguite nella direzione voluta dal governo e portata avanti dai commissari”.
Particolare preoccupazione destano diversi aspetti della procedura di vendita. In primo luogo, il bassissimo livello delle offerte economiche ricevute rispetto alle aspettative. Inoltre, come sottolineano gli esperti, “colpisce l’assenza di player internazionali di rilevo nella siderurgia a ciclo integrale, mentre partecipano gruppi con limitata esperienza e non sempre titolati ad una gestione industriale”.
Anche la questione energetica resta un nodo cruciale irrisolto, così come le garanzie occupazionali appaiono insufficienti. “Non illudiamoci – ammoniscono Pensa e Conte – questa nostra siderurgia non sarà in grado di sviluppare profitti prima di tre anni e difficilmente un gruppo privato potrà farsi carico di questa situazione”.
Il paradosso emerge ancora più netto nel confronto internazionale: mentre gli Stati Uniti, attraverso Biden, bloccano la vendita della Us Steel alla Nippon Steel per ragioni strategiche, “l’Italia sovranista si vuole liberare dell’acciaio nazionale cedendolo a gruppi di affari che vanno dagli Americani agli Azeri o agli Indiani di Jindal Steel”.
La Federazione Dirigenti suggerisce una partecipazione statale consistente, almeno per un quinquennio, per garantire un rilancio effettivo degli stabilimenti di Taranto, Cornigliano e Novi Ligure. “Le risorse qualificate necessarie sono già presenti nella fabbrica”, sottolineano, evidenziando come la strada della dismissione totale rischi di rivelarsi un nuovo fallimento dopo la già negativa esperienza con Arcelor Mittal.