Si fa fatica ad ascoltarlo, Michele Serra. Gonfia di parzialità le nuvole a digiuno di pioggia che scorrono in cielo. La destra non ha fatto sino in fondo i conti con la sua storia fascista? Vero. Ma anche la sinistra che si definisce socialista solo in Europa, non osando pronunciare questa parola in Italia, è messa piuttosto male. Storia di due debolezze diverse eppure uguali, che una certa intellighenzia radical chic non riesce proprio a raccontare. Cattivi maestri
Lascia sospesi per aria i pensieri, Michele Serra. Al pari della pioggia intrappolata che gonfia, inutilmente, le nuvole. Non chiude quasi mai i cerchi dei suoi ragionamenti. Non scioglie il nodo gordiano stretto attorno al collo dell’onestà intellettuale. Parcellizza i concetti, caldeggiando un vecchio vezzo – e cliché culturale – di una certa sinistra radical chic: approssimarsi alla verità con il passo del gambero. Un incedere in avanti e diverse, tante, falcate compiute in senso contrario. Ospite di uno dei tanti talk demenziali, che ormai imperversano in tv ad ogni ora della giornata, riducendo la politica ad un incontro di boxe su ring permanenti e di periferia, l’editorialista de la Repubblica – e autore delle trasmissioni di Fabio Fazio – indulge nella sublime arte della faziosità. Del fanatismo che non contempla l’altro da sé. Dell’intellettuale organico con venature organiciste. “La sinistra italiana ha fatto i conti con la propria storia, la destra no”.
Ma davvero? Da dove scaturisce tanta sicumera? Il saluto romano, la fiamma del vecchio Msi nel simbolo di Fratelli d’Italia, il presidente del Senato Ignazio La Russa, le stravaganze culturali del ministro Sangiuliano, starebbero a testimoniarlo. L’effetto serra di Michele Serra è gas che ottunde lo spirito critico e relega le intelligenze nel clan del pensiero unico. Evidente surriscaldamento della calotta cranica per anomalo rialzo termico delle pratiche ipocrite. Se certa destra è ancora fascista, in Italia, la sinistra non riesce a definirsi socialista. O, meglio: dichiara di esserlo in Europa, una volta varcati i confini nazionali, ma non osa pronunciare il sostantivo/aggettivo in Italia. Perché? Perché nel Paese che ha espresso il più grande Partito Comunista di Occidente, nella lotta a sinistra che imperversò per tutti gli anni ’80 del secolo scorso, la parola socialista si decise di abiurarla. Ieri così come oggi. Ma questo passo claudicante, questa andatura incerta verso un’idea di verità e pacificazione collettiva, di conti fatti con la storia per dirla con le parole del noto giornalista, rende destra e sinistra le due facce della stessa medaglia. Espelle la modernità, una certa contemporaneità, da entrambe in egual misura. Non riconoscerlo, come fa Michele Serra, ritarda e inceppa il processo di definitivo distanziamento dalle due più grandi sciagure politiche del secolo scorso: il comunismo e il fascismo. Regimi totalitari e liberticidi in maniera diversa eppure uguale.
La nostra politica attuale, i suoi semianalfabeti protagonisti, nasce anche – se non soprattutto – da questo inganno che si continua a perpetrare. Se Atene piange, Sparta non ride. La storia della destra e della sinistra italiana che Michele Serra, l’intellettuale radical chic pagato perché si accomodi nei salotti televisivi, custodisce nella serra della sua ricostruzione interessata. Parziale. Un suono raglio. Cattivi maestri.