sabato 27 Luglio 24

ERA DE MAGGIO

La festa dei lavoratori nel Paese dove il lavoro manca. E’ precario. E’ di pessima qualità. Non è sicuro. Dove la disoccupazione viaggia a doppia cifra nelle Regioni del Mezzogiorno. Dove il sindacato accumula ritardi culturali su ritardi. E la politica non sa andare oltre mere declamazioni di principio. Che fine ha fatto l’ambientalismo locale nell’Uno Maggio tarantino? E’ divenuto anch’esso potere dopo anni passati ad apparire come contropotere

Non è mai banale la festa del Primo Maggio, nonostante il Paese affoghi nelle banalità. Se ne crogiuoli quasi. Non sbiadisce la memoria dei diritti ammaccati. Dei lavori precari. Della sicurezza che latita. Delle morti bianche che insanguinano la cultura produttiva, l’onore civico di una civiltà scolorita. Di una disoccupazione che, cambiano i governi, ma resta a doppia cifra nelle aree del Mezzogiorno senza indurre alcuna vergogna collettiva. Di una rivoluzione tecnologica che fatica a coniugare – e tenere assieme – l’innovazione del sapere con la tutela dei meno abbienti. Tutele salariali e di prospettive di vita. Tutele spendibili nel tempo. Tutele che tutelino al di là delle declamazioni di principio. Temi, questi, che dovrebbero far riflettere la politica. Interrogare a fondo il decisore pubblico su come fissare le coordinate di una democrazia sempre più “post”. Sbilanciata a favore di una capitalismo rapace, a digiuno di etica. Nella festa che celebra le lotte per l’emancipazione del lavoro, il sindacato farebbe bene a meditare. A ragionare sui suoi errori e molteplici ritardi culturali. A cominciare dalla qualità dell’occupazione che (non) si trova in giro. E alla possibilità che i giovani considerino l’interlocuzione dei corpi intermedi una reale possibilità democratica. E non il quasi esclusivo privilegio dei soli apparati dirigenti delle stesse organizzazioni. Il primo Maggio a Taranto, poi, acquisisce sempre un significato particolare. Soverchiante, verrebbe da dire.

Nella città dell’Ilva, del ricatto occupazionale, del lavoro che gareggia con la salute, avanza l’antinomia dei diritti. La contrapposizione della disperazione. Foce a delta delle aspettative violentate. Tutto, così, diviene più complicato. Maledettamente complicato. E la modernità, con i suoi chiaroscuri, con il carico di novità che esibisce, rischia di alimentare gli equivoci più che dissipare le incongruenze. La voce dell’ambientalismo locale è, ormai, afona. Tartaglia. Si è fatta anch’essa potere dopo essere stata per anni contropotere. Replica il replicabile per difetto di originalità. E’ auto protagonismo anodino e pochissimo altro. Avanzano indisturbate, trionfanti, le passioni tristi. Prendono campo – e spazi erroneamente incustoditi – i furbi di professione. Gli accattoni della parola sgrammaticata. I finti guardiani dell’onestà-tà-tà. Per la sinistra italiana, quella di matrice cattocomunista, la sinistra “qualunquemente” dei soliti qualunque, i diritti sociali sono poco più che un orpello. Ornamento di colorati Pride che divertono quando non interrogano. E interrogano pur potendo divertire. Vittorio Foa, un grande dirigente del sindacalismo tricolore, avrebbe detto: “Le sole risposte utili sono quelle che propongono nuove domande”. Buon Primo Maggio a tutti.

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