venerdì 17 Maggio 24

Il mito di Sisifo

Melucci completa la giunta comunale e porta a diciotto la sua maggioranza consiliare. Settori della destra, come gia dimostrato in passato, non faranno mancare il loro apporto se dovesse rendersi necessario. Ai partiti morti da tempo è subentrata la fedeltà coatta, il salamelecco a digiuno di orgoglio

Quando la politica è debole, destrutturata, impossibilitata nel riformare se stessa, avanzano i personalismi. Le cuginanze. Persino i cognati. I Consigli comunali, da aule legislative, ricordano i quattro amici al bar raccontatici da Gino Paoli. Le Giunte eseguono i voleri del demiurgo di turno, smarrendo la loro vocazione esecutiva. D’indirizzo programmatico. Di visione condivisa. Il nuovo governo cittadino di Taranto, implementato da tre nuovi assessori, plasma questo schema. Definisce questa deriva. Non entusiasma, non deprime più di tanto. Lascia, semplicemente, indifferenti. Inerti come un moto perpetuo lanciato verso il nulla. In una terra di mezzo abulica e sospettosa. Ai partiti morti da tempo è subentrata la fedeltà coatta, la riverenza opportunistica, il salamelecco a digiuno di orgoglio. Non serve il progetto per restare uniti. Non necessita la proposta per alzare la mano. E’ sufficiente l’obiettivo particolaristico, l’interesse del momento coltivato un poco per volta. I gruppi si sfaldano e si ricompongono alla bisogna (“Forza” Nova, il movimento ideato da Costanzo Carrieri, è dato in grande ascesa). La volontà popolare è travisata, maltrattata, un’enigmatica sconosciuta alla quale dare appuntamento alle prossime elezioni.

Passare da diciassette a diciotto consiglieri di maggioranza è la notizia a scorgere l’informazione di giornata. Una mela, Mele pardon, al giorno toglie il medico di torno. Che culo. Che Amministrazione salutista. A Melucci va riconosciuto un merito, nonostante la modestia politica e la simpatia caratteriale che tutti gli riconoscono: coagula attorno a sé, con un certa acribia, il quarto d’ora di notorietà che alberga in ognuno di noi. Legittima la cittadinanza del “tengo famiglia”. Consacra l’impegno del momento confondendolo con il lavoro che latita. Al pari di un moderno Sisifo senza mito, spinge il masso degli arrivismi personali fin sopra Palazzo di Città. Per poi ritrovarselo, un secondo dopo, per strada. Tra la gente. Rotolato giù da una politica ai titoli di coda.

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