Più che i blocchi sociali, gli schieramenti contrapposti, le opzioni culturali, ai pugliesi interessa la cosmesi politica. Da Formica ad Emiliano, la nostra democrazia si è instupidita
La Puglia che fu di Formica e poi di Tatarella e Fitto, passando per Vendola, adesso è di Emiliano. Corsi e ricorsi storici che si tengono assieme nella diversità. Più che i blocchi sociali, gli schieramenti contrapposti, le opzioni culturali, ai pugliesi interessa la cosmesi politica. Votano sperando di migliorare il possibile in assenza di una bellezza non pervenuta. Inseguono le mode più che un progetto di società. Si genuflettono al meno peggio non conoscendo il meglio. Così è stato, cosi continua ad essere. Dall’omicidio di Moro in poi, la nostra è una democrazia malata. Claudicante. Irriformabile. Giustizialista senza giustizia. Ricca di selfie e povera di idee. Vociante nel suo irriverente mutismo. Il trasformismo e il populismo sono varianti cogenti di una contemporaneità parecchio instupidita. Sdraiata come un’ombra riflessa accanto ad un corpo che non c’è più. C’entrano poco le dottrine politiche, lo studio dei classici. Il liberalismo, il socialismo, il comunismo. Quando D’Alema afferma che Michele Emiliano sta portando la destra al governo della Puglia commette un macroscopico errore di lettura dell’esistente. Per spostarti a destra devi arrivare da sinistra. Non puoi riscoprirti conservatore senza un passato da progressista. E viceversa. Nel caso di specie, invece, le differenze si giocano lungo il solo crinale della gestione del potere. Le appartenenze sono saltate, le identità anche. Della serie: Franza o Spagna, purché se magna… Tutto il resto non conta. Così come contava poco in passato, a voler essere onesti. Considero altrettanto sbagliata la presa di posizione, affidata alle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno, di Fabrizio Tatarella: “Il paragone improprio – scrive – di Emiliano con Pinuccio conferma il tentavo maldestro di giustificare il trasformismo politico in salsa pugliese (…)”. Ci risiamo. Il trasformismo non c’entra. Qui nessuno si trasforma, diviene altro. Anzi. E’ vero, semmai, l’esatto contrario. Si resta se stessi sino in fondo, andando persino oltre la logica – e la decenza – se tutto ciò fosse utile alla causa. E la causa è riassumibile nella domanda: che c’è per me? Sullo sfondo: l’io ingordo che avviluppa il noi ormai riposto in soffitta. Non c’è differenza tra Emiliano e Fitto, tra Vendola e Tatarella. Tra tutti questi e Formica. Cambiano soltanto i tempi. Muta la tecnica. Perde di eleganza le gestualità. Churchill diceva che “i prossimi fascisti si presenteranno come antifascisti”. Non credo volesse riferirsi a potenziali pratiche trasformistiche.