Il nuovo anno, appena approcciato, si trascina dietro vecchi problemi. A cominciare dalla fabbrica dei veleni. Appunti per il futuro. Leggere il libro di Paolo Volponi
La vecchia ferriera non esiste più. Emette gli ultimi vagiti alla stregua di un animale agonizzante, ferito a morte. La classe operaia – o corporale, per citare un vecchio libro di Paolo Volponi – è evaporata. Dissolta nei numeri e in quella che un tempo veniva chiamata la “coscienza di classe”. Se ne sono perse le tracce. La politica si dà appuntamento in insulse video-conferenze che hanno il merito (?) di parlarsi addosso con la prassi da remoto. Le istituzioni locali si tengono lontane da quella che, con linguaggio tecnico, si suole definire un’aporia: un problema, cioè, senza apparente soluzione. Lo Stato vorrebbe continuare a produrre acciaio. Farlo a Taranto, se possibile: la città degli equivoci. Dei facili protagonismi: ambientali e produttivi, fa lo stesso. Cambia poco. L’unica, in Italia, a contemplare una fabbrica con un’area a caldo. Cioè a ciclo integrale. Per giunta a ridosso di un quartiere popoloso come i Tamburi. Peccato che non può più permetterselo. Leggere Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera dell’altro ieri, per comprenderne le ragioni. Quando il capitalismo fallisce bisogna soltanto prenderne atto. Voltare pagina. Dotarsi di una strategia di segno contrario. Oltre non c’è niente, se non la presa d’atto del mancato raggiungimento di un obiettivo.
Lo statalismo – e l’economia pianificata – è un inciampo della storia. Qualcosa che lede non soltanto le libertà economiche, ma finanche quelle politiche e civili. Si veda il capitalismo governativo (un ossimoro che manda gambe all’aria lo studio di una disciplina come l’economia politica) di Cina e Russia per comprendere quanto breve, se non nullo, sia il passo dal dirigismo al totalitarismo. Da questa partita, alla fine, ne usciremo tutti sconfitti. La città di Taranto. Gli operai. La politica imbelle. Una (finta) idea novecentesca di sindacato e sindacalismo. L’ambientalismo che, in molte circostanze, confonde l’ecologia con un titolo a caratteri cubitali sui giornali. Il selfie-made man. Nel frattempo che, scioperi e video-conferenze, consumino l’ennesimo cerimoniale. Un atto inerziale dalla dubbia validità.