sabato 27 Luglio 24

La gaia scienza

Cosa ha insegnato la pandemia al pianeta? Il caso Taranto, con la salute sacrificata sull’altare del lavoro, ci regala un’idea incerta di futuro

In epoche di antinomie più o meno pronunciate, i diritti possono apparire quasi un azzardo, un inutile orpello. La loro rivendicazione, poi, esercizio vano. Da modernità deleteria. Quasi superati nell’apparente vetustà che sembra avvolgerli. Perché le disuguaglianze, per dirla con le parole di Thomas Piketty, investono più la sfera tecnologica che quella delle opportunità socio-economiche. Con il sostantivo socialismo a ripensare il proprio atto costitutivo, l’essenza ontologica del suo essere – e divenire – ideologia.  Aveva ragione Vittorio Foa, nel suo bellissimo libro edito da Einaudi “Scelte di vita”, a voler ricercare i segni prim’ancora che i significati nel nostro derelitto dibattito pubblico. Con i primi costruisci, ricerchi un’identità; con i secondi, invece, scandisci il tempo dei tuoi ragionamenti, fissi i possibili ancoraggi ai quali tendere. Ma i diritti, quelli essenziali, quelli che delimitano il perimetro di ogni convivenza civica, non attendono oltre il consentito la propria concreta tutela e applicazione. Se trascurati, periscono. Si trasformano. Cambiano pelle e senso di marcia. Incistano le democrazie, in maniera irreversibile. L’aver posto la tecnologia come limes tra il giusto e l’irrazionale, tra il positivo e il negativo (qualora queste espressioni potessero avere, sempre e comunque, un significato aprioristico), con una certa idea fallace di futuro a gareggiare con un altrettanto confusa accezione di passato, ha fatto sì che beni immateriali, cioè i diritti, come la tutela della salute e la valorizzazione del lavoro, si eludessero a vicenda. In una sorta di scontro all’arma bianca in fondo al quale nessuno potrà dichiararsi vincitore. La pandemia da Covid-19 ce l’ha insegnato. La vicenda tarantina, con la salute sacrificata sull’altare di un lavoro anch’esso sacrificato, invisibile e precario, lo testimonia da almeno un decennio a questa parte. L’Italia degli ultimi anni, il mondo intero, è come fosse una grande Taranto. Ne riecheggia, inascoltato, il suo lamento. La lotta strenua perché l’inalienabilità dei diritti non si smarrisca nella genesi di profitti senz’etica. Degli affari ingordi a digiuno di afflati morali. La vita è ricerca armoniosa, equilibrio possibile, teoria galileiana dei moti: rivoluzionari e non. Se si eclissa la salute, evapora anche il lavoro. E la ricerca dei segni, così cari a Foa, rischia di disperdersi nei suoi stessi significati. Perché la politica – e ogni forma di potere – non si riduca al solo comando ma diventi anche resistenza al comando.   

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