Tutto il dibattito sui Giochi del Mediterraneo, o buona parte dello stesso, ruota attorno all’impianto calcistico del rione Salinella. E’ un fuoco quello che divampa, per ben due volte allo Iacovone, che spegne speranze e accende paure
E’ tutto fuorché uno scherzo di pessimo gusto. Non siamo al cospetto di una pellicola horror di Stephen King. Brucia due volte lo stadio Iacovone. Al termine della gara di domenica sera con il Foggia e i suoi teppisti, in assetto da guerriglia, spacciati per tifosi. Due giorni dopo, nella tarda mattinata di un insulso martedì di settembre. E’ un fuoco che spegne suggestioni e accende paure. Tracotante, luciferino. Per niente pago di ferire gravemente l’impianto del rione Salinella. Mira a molto di più, arde nella speranza di cancellare, spazzare via, il tempio dei sogni pallonari colorati di rosso e blu. Stadio bruciato, comune (nel senso di comunità) spacciato. A voler parafrasare l’indovinato titolo che campeggiava sulla copertina di un vecchissimo numero del settimanale L’Espresso. Spacciato nel senso d’indeterminato. Inghiottito in un vortice di sinistri presagi. Di cause ed effetti che giocano a confondersi e confondere, scambiandosi infine di ruolo.
Tutto il dibattito – o buona parte dello stesso – sui prossimi Giochi del Mediterraneo ruota attorno ai destini dello Iacovone. I colloqui riprendono – o si arrestano – se lo stadio diviene materia, tra le parti, non da ultimo stadio. Aperta, insomma, a soluzioni vecchie e nuove che non si escludano a vicenda. Uno stadio nuovo di zecca? Uno stadio recuperato e modernizzato? E da ultimo: uno stadio bruciato? Siamo passati, nel volgere di appena quarantotto ore, da due a tre opzioni che resistono sul campo. Sulle prime s’interroga la politica; l’ultima, invece, diviene materia ad esclusivo appannaggio del fato e dei suoi indecifrabili andirivieni.
Chissà cosa pensi da lassù, Erasmo? L’eroe eponimo che perse la vita sulla strada che collega Taranto a San Giorgio per mano di un balordo. Con la sua morte prematura – e violenta – anche il nostro calcio incominciò ad inabissarsi, a dannarsi senza alcuna redenzione, a manifestare sulla propria pelle le stigmate di un minoritarismo senza fine. Interessi manifesti, speranze coltivate, desideri inconfessabili. Parlare di futuro è possibile ad uno sola condizione: che si varchi la porta d’ingresso dello Iacovone. Scrive Victor Hugo: “Inferno cristiano: fuoco. Inferno pagano: fuoco. Inferno maomettano: fuoco. Inferno indù: fiamme. A credere alle religioni, Dio è un rosticciere”. Nutriamo ragionevoli dubbi sulla possibilità che il grande scrittore francese abbia assistito al derby con il Foggia domenica sera.