Reporters Sans Frontières relega l’Italia al 58esimo posto per quel che concerne la libertà di stampa. Il peggior risultato, fatta eccezione per la Cina, tra i Paesi più industrializzati del pianeta. Una vergogna della quale in pochi parlano e s’interrogano. Noi di CosmoPolis, chi ci legge lo sa, prendiamo le distanze dal Giornalista Collettivo. Il monito di Albert Camus
E’ la stampa, bellezza. Si, ma quale? Quella descritta da Reporters Sans Frontières con le sue classifiche? Quella che relega, nel 2022, l’Italia al 58esimo posto per ciò che concerne la libertà d’informazione (si partiva, lo scorso anno, da un già poco lusinghiero 41esimo posto)? Il nostro è il Paese con la peggiore – e più deludente – performance tra le grandi nazioni industrializzate, fatta eccezione per la Cina. I giornalisti continuano ad essere uccisi. Minacciati. Rinchiusi in carcere. Danno fastidio al potere che, come si sa, non ama ricevere attenzioni slegate da ripetute lusinghe. Da goffi salamelecchi. E rifugge da poteri di segno uguale e contrario. Il Quarto potere di Orson Welles, per intenderci. Il Quinto – o, forse, Sesto – dopo le rivoluzioni digitali intervenute nel frattempo. In generale, più si riduce lo spazio della libertà di stampa e più la democrazia si assottiglia. Si ritira. Vira altrove. E’ un rapporto direttamente proporzionale, quasi biunivoco: al venir meno dell’una, si riduce anche l’altra. E’ sin troppo evidente come la libertà non sia possibile ricondurla solo nell’alveo dei diritti. C’è una libertà che si coltiva con il dovere del coraggio. Con la dignità morale. E l’eroica resistenza etica. Una libertà esogena e una endogena, insomma. Sulla prima interviene lo Stato con le sue norme e il suo grado di civiltà giuridica. Sulla seconda, invece, è compito del giornalista vigilare. Diceva Albert Camus: “Una stampa libera può essere buona o cattiva, ma senza libertà, la stampa non potrà mai essere altro che cattiva”. Il potere non è nudo anche se ama denudarsi. E’ tronfio, semmai. Pingue. Somiglia ad una prefica: piange (e fotte) a comando. Ma non prova vergogna. Non arrossisce mai. Non conosce il senso del pudore. Coltiva disprezzo per la parola responsabile. E l’autonomia di pensiero. Nutre il proposito di trasformare i giornalisti, tutti i giornalisti in addetti stampa. Perché scrivere a comando è più conveniente – e meno faticoso – che scrivere per diletto. Sia per gli uni che per gli altri. Di cosa ci sorprendiamo, poi, se la classifica redatta da Reporters Sans Frontières ci relega al 58esimo posto. Una vergogna della quale nessuno, o in pochi, pochissimi, parlano. Ci si tolga il cappello dinanzi al Giornalista Collettivo, dopo avergli fatto una sonora pernacchia…