Accelerata improvvisa per la nomina di un tecnico che dovrà occuparsi dell’evento sportivo del 2026. Si chiude, ancor prima che abbia inizio, il tentativo della politica locale di pensare – e pensarsi – in grande. L’assenza di una classe dirigente degna di questo nome la nostra tara storica
Un mese ancora. Forse anche meno. Con l’emendamento recepito l’altro ieri in Commissione Bilancio al Senato, è di fatto partito l’iter per commissariare i Giochi del Mediterraneo di Taranto. Questo giornale, che ha il vezzo di leggere e studiare, di approfondire e comparare, di cercare insomma di capire prima quello che potrebbe verificarsi dopo, che ai padroni e agli imbonitori preferisce la spavalda – e orgogliosa – attraversata in solitudine del deserto, che viene lasciato solo nella sostenibilità finanziaria di un progetto che pone l’autonomia di giudizio e l’indipendenza giornalistica al centro del suo agire quotidiano, aveva previsto tutto nei mesi scorsi. Ne scrivemmo attirandoci lo sproloquio dei soliti benpensanti quando parlare di commissariamento sembrava una blasfemia recitata in chiesa. L’opera di disfattisti in cerca di scoop o comunque di un posto al sole. Poco male. Va bene quel che finisce bene, recita un adagio popolare. Con Melucci i Giochi non li avremmo mai tenuti. Con Emiliano e Sannicandro stavamo appaltando a Bari l’evento più importante della nostra storia contemporanea. Serviva cambiare passo. Serve affidare ad altri, ad un tecnico terzo per esempio, poteri speciali perché le opere e gli impianti sportivi si realizzino più che declamarli a vanvera. Non esiste, come qualcuno va ripetendo in questi giorni, che Melucci faccia il vicecommissario. Chi ha perso la propria casa all’asta giudiziaria non crediamo possa accontentarsi di tornare nella stessa abitazione per utilizzare magari il solo ripostiglio. Da tarantini consideriamo il commissariamento una sconfitta. L’ammissione di un’incapacità conclamata. La partita persa malamente che può farti vincere il campionato alla fine. La nostra classe dirigente è poca cosa. Il nostro ceto politico, chi ha seguito i lavori del Consiglio comunale di ieri se ne sarà reso conto, capovolge la pedagogia educativa: ti fa disimparare quel molto – o poco – che si appreso nel corso della propria vita. Non gioiamo per questo epilogo aspettato. Guardiamo soltanto al futuro con un pò più speranza. Non è poco, anzi.