Le casse dell’ente se non sono vuote poco ci manca. Chiunque dovesse vincere la competizione amministrativa di maggio, si troverà ad affrontare una situazione delicata. Come si è giunti a tutto questo? Leggere CosmoPolis per saperlo
Con i sei candidati sindaci, con un migliaio circa di pretendenti a sedere nel prossimo Consiglio comunale (troppi per una città che non arriva neanche a 190 mila abitanti), con le 28 liste ufficializzate, si è di fatto aperta la competizione amministrativa di Taranto. Una finestra di un mese che, in caso di ballottaggio, avrà una coda ulteriore di altri quindici giorni. I tempi sono serrati, fulminei. A memoria d’uomo, si tratterà della campagna elettorale più breve della storia contemporanea. Almeno per ciò che concerne la città dei due mari. L’entusiasmo è legittimo, finanche auspicabile: la democrazia vive, e si sostanzia, nei passaggi elettorali. In quel tornante che si suole definire vincolo rappresentativo: con gli elettori da una parte e gli eletti dall’altra. Nonostante gli algoritmi e la confusione che, per dirla con le parole di Giuliano da Empoli, corroborano le tesi “degli ingegneri del caos”. Di un populismo altrimenti definito malattia senile dei nostri sistemi liberal-democratici.
Ma, le frenesie eccitate del momento, i baci e gli abbracci di piazza, la volgarità sempre più instupidita dei social, non devono far dimenticare la realtà. Allontanarsene troppo, dalla realtà of course, rischia di rivelarsi pericoloso. E d’inciampare, eventualmente, nelle maglie strette di una verità artatamente sottaciuta. Chiunque dovesse affermarsi nel voto di maggio, è bene che si sappia, dovrà cimentarsi con una situazione finanziaria a dir poco preoccupante. Il piatto delle casse comunali piange, le diverse aree amministrative lamentano situazioni già vissute in un passato non troppo lontano. E la parola dissesto, sebbene in pubblico nessuno osi pronunciarla, nei colloqui privati viene evocata sempre più spesso. Da alcuni mesi, ormai. Mancano le risorse per gestire il patrimonio immobiliare dell’ente; la società multiservizi drena denaro pubblico al pari di un’idrovora installata per le vie cittadine dopo un lungo nubifragio. Sulla partecipata Kyma Ambiente, mai tanto inchiostro è stato diffuso per vergare i nostri resoconti giornalistici.
Altro racconto meriterebbe invece l’inceneritore pubblico, di proprietà sempre di Kyma Ambiente: dismesso da decenni, ma puntualmente riproposto nei bilanci comunali per un valore pari a circa 40 milioni di euro. Finanza creativa che incenerisce e s’incenerisce. Nient’affatto semplice governare la Taranto degli anni a venire. Nessuno lo dice, nessuno ne parla, nessuno se ne preoccupa. Adesso è il momento della festa, dei sorrisi falsi che non si negano a nessuno, dei comitati elettorali a digiuno di affari. Pecunia non olet: il denaro non ha odore, ma può creare dolori.