Un po’ di brio, per diamine. Qualche analisi non stereotipata. La ricerca di soluzione non inflazionate. Candidarsi a fare il sindaco a Taranto non è affare ordinario. Siamo un po’ delusi dal dibattito sin qui sviluppato. Un confronto che sta come stanno in autunno le foglie sugli alberi
Non è una campagna elettorale da città che conta, complessivamente, 200 mila abitanti. Una città grande tra le piccole – e medie – entità urbane del Paese. Non lo è stata, almeno, sinora. Non ce ne vogliano i candidati, ma ci saremmo aspettati qualcosa in più. Un altro piglio, una diversa postura intellettuale. La ricerca di spazi ove potessero alloggiare le suggestioni; i sogni caldeggiati con sapiente pragmatismo. Taranto non è un luogo qualsiasi: per la propria storia millenaria (la sua fondazione è antecedente a quella di Roma); per la posizione geopolitica invidiata e invidiabile; per la sintesi precaria, una sorta di falla sulla quale resta sospeso il futuro, tra solvibilità ecologica e rendita produttiva. Qui, più che altrove, la modernità è chiamata a dirimere le sue contraddizioni. E il Mediterraneo, seguendo l’insegnamento di Fernand Braudel, diviene mare di opportunità multiple e di riscatto identitario.
Nessuno dei candidati sindaco è intervenuto, per esempio, sui gravi problemi finanziari che segneranno l’attività ordinaria dell’ente, la cosiddetta spesa corrente, per gli anni a venire. Nessuno parla del consumo di suolo che, a Taranto, è inversamente proporzionale al varo di un nuovo strumento di pianificazione urbanistica. Dell’inceneritore di proprietà dell’Amiu, un ferrovecchio da abbattere, fondamentale per la tenuta futura del nostro ciclo dei rifiuti, il silenzio spadroneggia e umilia eventuali considerazioni effettuate sull’argomento. Dell’inverno demografico si sono tutti dimenticati, considerato l’approssimarsi della stagione estiva. Del consumo di acqua pubblica da parte dell’Ilva, in epoca di scarsità idriche, della realizzazione di un dissalatore sul fiume Tara, è scattato con largo anticipo il silenzio elettorale. Lasciamo fuori, per un sussulto di amor proprio, le questioni mai seriamente affrontate della città metropolitana e dell’autonomia universitaria da Bari. I due veri, grandi temi in grado di far svoltare Taranto verso un avvenire meno pericolante e anonimo.
Della recente nomina all’Autorità portuale, del nostro Alfa Alfa, nessuno sente il bisogno di confezione un commento che sia uno. Si delineano i destini della più importante infrastruttura che insiste sul territorio, anche in questo caso, in un clima di assordante – e rumoroso – silenzio. L’elenco sarebbe ancora lunghissimo; ma, chi come noi crede nell’elogio della brevità, allontana l’epifania di parole abusate nel proprio autocompiacimento. I curati di campagna (elettorale) farebbero ancora in tempo a sorprenderci. Nella città dell’instabilità creativa, mai abbandonare la speranza.