Intervista all’onorevole, Claudio Signorile. “Più di Napoli, più di Bari, grandi città commerciali, qui la saldatura tra quadrante meridionale del Paese e Mediterraneo diventa suggestione realistica”
Onorevole Signorile, come immagina il futuro di Taranto?
“Domanda impegnativa per un’intervista appena cominciata”.
Da qualche parte dovremo pur partire.
“Ha ragione (ride, ndr). Taranto è l’unica città produttiva del Mezzogiorno. Napoli e Bari sono grandi città commerciali; un’altra cosa rispetto alla specificità tarantina. Qui è possibile esplicitare, ripeto, un polo produttivo. Che coniughi, e leghi direttamente, l’intera area meridionale del Paese al Mediterraneo. Questa suggestione realistica non è replicabile da altre parti.
Un polo produttivo orfano di un Porto che movimenti merci, che non riesce a completare i dragaggi da oltre vent’anni, senza una propria strategia, in grado di definirne la cifra culturale prim’ancora che economica, rischia di apparire una contraddizione in termini. Non crede?
“Il Porto è la grande occasione mancata per Taranto. Sia per quel che concerne la parte gestionale che per gli aspetti più specificamente strategici. Aver mandato via Evergreen, negli scorsi anni, è stato un colossale errore. Cosi come non aver ospitato nelle aree retroportuali le Officine Meccaniche Reggiane. Lasciamo perdere, poi, la gestione dei turchi: modesta ed impalpabile”.
La convince l’idea di far nascere il Tecnopolo del Mediterraneo nella città dei due mari?
“L’idea del Tecnopolo non è di questo governo, ma dell’onorevole Amalfitano. Da professore di Storia ho una qualche sensibilità, per così dire, sull’effettivo ripristino della verità. Detto ciò: l’idea è sicuramente suggestiva, sempre che possa essere riempita di contenuti. Il punto dolente è, semmai, un altro…”.
Quale?
“Non ci sono tarantini nella governance dell’Istituto di ricerca, sono tutti baresi. Considero questa una circostanza assai singolare”.
Perché Taranto non ha mai avuto una sua autonoma Università?
“L’attuale Università, cosa che lei giustamente scrive spesso, è una dépendance di quella di Bari. Un’Università tarantina degna di questo nome avrebbe dovuto seguire altre coordinate spazio-temporali. Quelle, per esempio, del sistema urbano jonico-salentino. Della conoscenza culturale in grado di saldarsi alla grande tradizione industriale. Delle aree territoriali omogenee che si tengono assieme. E, per dirla con le parole del sociologo francese Edgar Morin, prediligono il sapere al freddo calcolo. Anche i Giochi del Mediterraneo sono l’esempio di un’occasione mancata per Taranto”.
Cioè?
“Chi pensa che una rassegna internazionale come questa si esaurisca nella sola realizzazione delle opere materiali, dimostra scarsa consapevolezza attorno all’argomento. Il commissario Ferrarese sta lavorando bene per quel che concerne gli aspetti infrastrutturali. Manca, invece, una gestione culturale e commerciale dell’intero evento. Qualcosa che lo rendi, insomma, un brand duraturo. Spendibile nel tempo, come si sta facendo con Milano-Cortina”.
Il solo privato può bastare per la gestione futura dell’ex Ilva?
“Un’industria del genere deve affidarsi necessariamente ad una co-gestione. All’equilibrio tra le prerogative del pubblico e gli obiettivi del privato. Si sbagliò nel regalare la vecchia Italsider ai Riva. Gli asset strategici non si abbandonano nelle mani, più o meno invisibili, del solo mercato”.
La Regione Puglia ha deciso d’interrompere ogni rapporto con lo Stato d’Israele. Come giudica questa iniziativa?
“Una sciocchezza. Un atto senza alcuna valenza politica. Un conto è l’attuale governo d’Israele, altra cosa è la società israeliana. Che andrebbe difesa, e protetta, anche da se stessa se fosse necessario. Il mio giudizio su Netanyahu è pessimo. E la mia amicizia, ricambiata, con il popolo palestinese non è opinabile. Ma si tengano fuori i drammi collettivi dai selfie ideologici”.
Tornando al Mediterraneo, e al “Piano Mattei”, perché l’Italia ha smesso di ricercare un approccio diretto con il continente africano?
“Perché il Mare Nostrum, secondo la vulgata delle attuali classi dirigenti, non supera il perimetro manicheo immigrato si-immigrato no. Si tratta di una limitatezza concettuale assai deprimente. E, invece, per tornare alla sua domanda: il Piano Mattei avrebbe un naturale punto di appoggio nella città di Taranto. Con il suo Porto che, tra tutti i grandi scali hub del Mediterraneo, è ancora libero”.