Inchiesta di CosmoPolis sull’impianto del rione Salinella. Sul degrado e la fatiscenza che avanzano nel tempio laico del tifo colorato di rosso e di blu. Roba da stadio iniziale di una politica ai titoli di coda
É da ultimo stadio lo stadio di Taranto. Sporco. Fatiscente. Abbandonato. Chiacchierato. Abusato. Equivocato. Politicizzato. Contrabbandato. Con il puzzo di piscio a gareggiare, un giorno sì e l’altro pure, con gli escrementi dei piccioni. In una sorta di partita da play-off degli scarti animali – e della sciatteria umana – incerta e decadente sino al novantesimo minuto. Pericolante alla stessa maniera dei fili dell’impianto elettrico che sovrastano il cielo senza poterlo sognare. Sbiadito come i colori sociali, il rosso e il blu dei gradoni della gradinata, adulterati dal potere scolorante del sole. Crepato alla stregua dei vetri della porta posta ad argine tra la curva sud e il rettangolo di gioco.

Terremotato nello squallore degli ambienti destinati al giornalista collettivo e alla stampa costituita: topaie da carcere inquisitore senza alcun inquisito. Avviluppato in erbacce alte un metro, nel perimetro di cinta tra Campo A e Campo B, a riprova del fatto che si stia realmente seminando la crescita (e anche la ricrescita) in città. L’impianto del rione Salinella è, da anni, poco più che un rudere ormai. L’infra-stortura grezza dei nostri destini malfermi. La casa del Mito che vuole sfrattare il Mito. Erasmo che si scinde da Iacovone perché il calcio, senza il suo tempio, è come una giornata al mare senza il sole. E, un popolo senza il proprio Dio, nient’altro che una massa errante verso l’ignoto.

“Non c’è un altro posto al mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”, suggeriva Albert Camus. Difficile poterlo credere nello stadio da ultimo stadio. Nello stadio che non contempla uno stadio successivo. Calamita urticante di aggettivi sgraziati e amministratori inconsistenti. Che reclamano canoni di affitto quando la casa brucia, il brutto avanza, e il progetto non si vede. Chiedere ad altri i doveri che non si è stati in grado di garantire, dispensare i diritti a chi ti liscia il pelo, agli adulatori con la lingua da fuori, è pratica tardo adolescenziale. L’ammissione di una debolezza. Lo stadio iniziale di una politica ai titoli di coda.