martedì 22 Ottobre 24

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Produttori di grano ridotti alla fame, prezzi al consumatore in picchiata, calo delle vendite: l’alimento italiano per eccellenza rischia di apparire sempre meno frequentemente sulle tavole delle famiglie

Tutto si potrà dire un giorno dei Millennials, eccetto che non sia stata una generazione con gli attributi.

Includendo tutti coloro che sono nati nel periodo compreso tra gli anni ’80 e la meta degli anni ’90, è infatti composta in gran parte dagli uomini e le donne della fascia 40-30 anni che, soprattutto negli ultimi anni, si trovano a lottare tra mille difficoltà.

Una su tutte? La caduta del mito del posto fisso: largo a mini contratti a tempo determinato, a lavori sottopagati e per i quali sono richieste sempre maggiori specializzazioni. Una mancanza di stabilità lavorativa o di adeguamento dei salari al costo della vita che si riflette paurosamente sulla società, condizionandone in gran parte le ultime trasformazioni.

Per non parlare di mutui e affitti che se la giocano al rialzo e di tasse in costante aumento.

Come non citare, poi, i due anni di pandemia da Covid-19, con i loro strascichi fatti di attività che non ce l’hanno fatta e di chi ha dovuto necessariamente ridimensionare il proprio progetto, causando ulteriori e tutt’altro che trascurabili contraccolpi economico-sociali.

A questo si aggiunge la crisi energetica, aggravata dal conflitto tra Russia e Ucraina, che ha portato ad un’impennata delle bollette di luce e gas, ma anche al cosiddetto caro benzina, costringendo a centellinare l’uso dei mezzi propri e delle utenze domestiche.

Per finire, l’inflazione ed il cambiamento climatico che, seppure attraverso dinamiche differenti, hanno causato un considerevole aumento dei prezzi del “carrello della spesa”, ovvero di quei prodotti essenziali per il sostentamento delle famiglie.

Il risultato di questo quadro sconfortante ci viene ricordato ogni giorno, come un mantra, dai media: gli italiani fanno meno figli, vanno meno in vacanza, riducono la spesa, comprano meno e mangiano male, soffrono maggiormente di stress e ansia, in molti casi lasciano il Paese in cerca di condizioni economiche più vantaggiose.

L’ultimo tassello del puzzle riguarda uno degli alimenti che possiamo considerare “sacri” per l’essere umano, non fosse altro perchè inserito nella preghiera cristiana del “Padre nostro” ad indicare il cibo quotidiano indispensabile: il pane.

Secondo i dati diffusi da Coldiretti questa mattina, in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, il prezzo dal grano al pane aumenta di 17 volte.

Un chilo di grano viene pagato oggi agli agricoltori circa 24 centesimi, il 32% in meno rispetto allo scorso anno, mentre la stessa quantità di pane viene venduta ai consumatori a prezzi che variano dai 3 ai 5 euro a seconda delle città, con un rincaro che arriva fino al +20%, secondo l’analisi Coldiretti su dati dell’Ismea e dell’Istat sull’inflazione media nei primi otto mesi del 2023 in confronto con lo stesso periodo del 2022.

In definitiva, a rimetterci sono i produttori della materia prima ma anche i consumatori: “Se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,33 euro, a Roma si viaggia sui 3,25 euro, a Bologna siamo a 5,14 euro, a mentre a Palermo costa in media 4,14 euro al chilo, a Napoli 2,26 euro, secondo elaborazioni Coldiretti su dati dell’Osservatorio prezzi del Ministero dello Sviluppo economico ad agosto. Peraltro i prezzi al consumo – afferma la Coldiretti – non sono mai calati negli ultimi anni nonostante la forte variabilità delle quotazioni del grano”.

Quali sono le cause di questo problema? In parte, sicuramente, c’entra ancora una volta il cambiamento climatico, che ha causato una riduzione del 10% del grano raccolto; ma una grossa fetta di responsabilità deriva anche dalla dipendenza del nostro Paese dal grano estero, spesso spacciato al consumatore come Made in Italy.

Il 64% della materia prima utilizzata per i prodotti da forno, infatti, proviene dai Paesi esteri: il che è davvero paradossale in un Paese come l’Italia, universalmente conosciuto per la qualità del suo grano.

Il risultato: siamo passati dai 230 grammi di pane a testa consumato negli anni ’80 ai 120 grammi del 2010.

Ed il calo negli acquisti, sempre stando ai dati diffusi oggi, non si arresta. Rischiamo, insomma, di perdere sulle nostre tavole uno dei prodotti simbolo del nostro Paese e della dieta mediterranea, conosciuto universalmente per le sue proprietà nutrizionali, a favore di surrogati congelati e precotti, realizzati con materie prime di scarsissima qualità.

Quali possibili soluzioni? Secondo il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, occorre agire contemporaneamente su più fronti: innanzitutto, “riducendo l’importazione di grano estero e lavorando nell’ambito del Pnrr per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali”. Altri investimenti sono necessari “per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento di risposta ai cambiamenti climatici”.

Nell’attesa non ci resta che pregare: dacci (di nuovo) il nostro pane quotidiano.

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