di Francesca Leoci
Secondo l’Istat, gli anziani e i residenti al Sud hanno rischio più elevato di sviluppare la malattia
Secondo l’Istat, nel 2022 in Italia 3,9 milioni di persone (6,6% della popolazione) hanno dichiarato di avere il diabete. Le proiezioni indicano che questa percentuale potrebbe raggiungere il 10% entro il 2040, considerando il trend attuale e l’invecchiamento demografico.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, definisce il diabete “una delle sfide più rilevanti del nostro tempo”, sottolineando l’importanza del Diabetes Barometer Report per orientare le politiche sanitarie future.
Secondo le ultime analisi, i fattori socio-demografici che aumentano il rischio di sviluppare il diabete sono l’età avanzata – il rischio è 8 volte maggiore per gli over 74enni rispetto ai 45-54enni – il sesso maschile, che ha un rischio maggiore delle donne di circa il 40%. Ma anche vivere al Sud si manifesta come un rischio per il diabete, con il 50% di probabilità in più rispetto a chi vive al Nord e in comuni con più di 2000 abitanti.
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti socio-economici il rischio quasi raddoppia tra le persone che al massimo hanno un basso livello di istruzione, e aumenta di circa il 30% tra chi soffre condizioni economiche svantaggiate. Inoltre, emerge la forte associazione con l’obesità che raddoppia il rischio di diabete, mentre la sedentarietà aumenta tale rischio di circa il 30%.
Un altro aspetto fondamentale è il costante invecchiamento della popolazione, con un tasso di natalità sempre più basso, che porta inevitabilmente a un aumento delle malattie tipiche della terza età. Tra queste, le patologie cardio-metaboliche sono particolarmente comuni e spesso derivano da squilibri energetici causati da un’eccessiva nutrizione e da uno stile di vita sedentario.
Fattori che – combinati con caratteristiche genetiche, comportamentali, sociali e ambientali – possono contribuire allo sviluppo di malattie croniche come obesità, diabete, aterosclerosi e steatosi epatica non alcolica, con un conseguente deterioramento della qualità della vita.
Secondo Riccardo Candido, presidente AMD e FeSdi, è fondamentale personalizzare e semplificare i percorsi di cura, sfruttando il progresso tecnologico e farmacologico “che permette non solo di trattare meglio le persone ma sviluppare anche dei modelli organizzativi volti a ridurre la frammentarietà dei percorsi”.