Viaggio nelle responsabilità di un’annata terribile. La volontà di non lasciare nulla intentato pur di garantire la B Nazionale, sommata alle assenze socio – istituzionali completano un quadro difficile. C’è ancora speranza per la prima squadra del capoluogo?
“Taranto non merita il basket, non il nostro basket targato CJ”. Le dichiarazioni, senza appello di Roberto Conversano, equivalgono ad un urlo sul sagrato della Cattedrale.
Non lasciano spazio ad ulteriori interpretazioni, le parole del numero due di casa CJ Basket, ma anzi tirano nel vortice delle responsabilità di un fallimento (sportivo, ndr), tutto il sistema cittadino. Davvero tutti, nessuno escluso.
Un tonfo, un pugno nello stomaco vedere il Cus annaspare nella melma di un campionato nazionale, che per gerarchia prestabilita dovrebbe contribuire a dare lustro ad una città che attraversa un momento positivo sotto il punto di vista sportivo, certificato dalla salvezza appena centrata dalla Gioiella Prisma Volley e dallo stratosferico campionato dei ragazzi di Eziolino Capuano, capaci di riunire una tifoseria ormai spaccata, sotto la stella cometa del Taranto Calcio.
L’altra faccia della medaglia però non luccica ed è quel CJ Basket Taranto, figlio frettoloso e sfortunato di quel ripescaggio, maledettissimo e tormentato miraggio estivo, fortemente voluto per il desiderio di assicurare alla città il proprio spazio nel basket che conta.
E qui, via con le prime colpe, quelle del board del Cus, che per “troppo amore” verso la Taranto del Basket e verso la “creatura CJ”, mette da parte la lavagna e ragiona di cuore, preferendo il più nobile dei sentimenti, alla realtà dei freddi numeri, che alla lunga non mente mai.
C’è posto, nel registro degli imputati per l’imprenditoria locale, da sempre chiusa ermeticamente nei suoi anacronistici ragionamenti da botteguccia, che a soli cento chilometri di distanza non hanno mai trovato terreno fertile.
Facile attribuire al giogo del capoluogo le sfortune della nostra provincia, ma che la crescita di un territorio, oggi in epoca social, si misuri anche con l’idea di promozione che si fa dello stesso, lo hanno capito in ogni dove, non solo a Bari e Lecce, imparagonabili alla nostra realtà, ma anche a Brindisi, oggi culla della “Puglia a Spicchi”.
Le differenze stanno nell’interesse e nelle competenze di chi ne ha facoltà economica, ma anche nel ruolo assunto dal tessuto socio – imprenditoriale, si pensi alle Associazioni di Categoria, piuttosto che alla Camera di Commercio, capaci in riva all’Adriatico di riunire a difesa della massima espressione sportiva cittadina, i maggiori asset produttivi del territorio. I soldi prodotti da Brindisi, restano a Brindisi, per il Brindisi e per la sua gente. Concetto semplice, ma non particolarmente in voga alle nostre latitudini, dove, appare impossibile non attribuire qualche (grossa, ndr) responsabilità anche alle Istituzioni, il cui intervento, necessario ma colpevolmente tardivo, suona come un maldestro e parziale correttivo che non cancella, ne alleggerisce le macchie, evidenti, derivanti da una gestione verso la “cosa sportiva” altamente insoddisfacente sotto ogni punto di vista.
Ultima ma non meno importante componente, è rappresentata dalla città. Dove sono i tifosi che dovrebbero riempire il Palamazzola? Dove sono i volti reali di chi inonda le pagine social della compagine rossoblu di stamaledetti “like”? Che ruolo hanno deciso di ritagliarsi in tutto questo le scuole, che imperterrite continuano a diseducare allo sport i nostri figli? Tutti assenti ingiustificati.
Ha ragione Conversano: “Taranto non merita il Basket”. Aggravando il concetto, e rendendolo ancora più triste, tocca chiedersi: “Siamo sicuri che a Taranto, salvare il Basket interessi a qualcuno?“