lunedì 19 Maggio 25

Era avvenuto un miracolo

di Vittorio Galigani

Il tecnico Pasinato, il nostro bomber De Vitis, l’ingegnere Fasano. Storie di calcio rossoblu. Storie che ci mancano tanto

La salvezza miracolosa ottenuta agli spareggi di Napoli, contro Lazio e Campobasso ed il contestato trasferimento di Maiellaro al Bari stavano andando in archivio. Iniziava la stagione sportiva 1987/88 con il Taranto in serie B. Nando Veneranda, il tecnico che aveva guidato la stupenda rimonta dell’anno precedente, aveva rassegnato le dimissioni.

Per sostituirlo ero andato su Gustavo Giagnoni. Il tecnico che usava il colbacco, di origini sarde, offriva le giuste garanzie. I suoi trascorsi con il Torino e con la Roma rappresentavano un biglietto da visita di prim’ordine. Lo ufficializzammo, ma improvvisamente insorsero problemi. Motivi famigliari lo indussero alla retromarcia, mi avvisò delle sue titubanze. Partì ugualmente per il ritiro precampionato in Sila sollecitandomi però a trovare nell’immediato il suo sostituto. Si fermò con noi soltanto un giorno.

Giusto il tempo per contattare Toni Pasinato che, con grande entusiasmo, decise di scendere a Taranto. Lo andai a prendere il giorno successivo a Brindisi, giusto il tempo per adempiere agli obblighi burocratici e lo accompagnai ad Acri, in Sila, raggiungendo la squadra.

Toni era un “gigante” buono. Carattere forte, di una cortesia assoluta. Dava del “lei” a tutti, calciatori staff e collaboratori. Dava del lei anche a un giovanissimo Tommaso Pernisco al suo esordio in prima squadra. Pasinato, innamorato del proprio lavoro, viveva di calcio e per il calcio. Aveva trovato nel rimpianto Alberto Piccenna un collaboratore prezioso.

Entrò immediatamente nelle grazie dei nostri tifosi. Veniva da ottimi risultati ottenuti con il Brescia. Accettò senza battere ciglio il nostro programma che, senza voli pindarici, prevedeva il mantenimento della categoria.

Avanzò una sola richiesta tecnica, l’arrivo di un centrocampista (Beppe Donatelli soffriva di pubalgia) ed un portiere. Andai a prendere Gianpaolo Spagnulo, giovanissimo, dal Brindisi. Durante il ritiro precampionato perdemmo Gilberto D’Ignazio fermato da una brutta distorsione ai legamenti.

L’avvio del campionato non fu dei migliori. 4 punti in sette giornate (si giocava ancora con i due punti a vittoria). Avevamo perso in casa con Genoa e Catanzaro. All’ottava ci presentammo in casa del Bologna, allenato da Maifredi, loro in vetta noi ultimi in classifica. Segnò l’esordio di Spagnulo che, subentrato a Goletti infortunato, parò un calcio di rigore grazie al quale portammo a casa un preziosissimo pareggio (Gianpaolo divenne, da quella partita, titolare inamovibile). Dopo due giornate una splendida punizione a foglia morte di Dalla Costa, che tolse le ragnatele dall’incrocio dei pali della porta del Messina, ci regalò la prima vittoria in quel campionato. Iniziammo a risalire, seppure faticosamente, la china.

Di quella stagione sono rimaste impresse alcune partite fondamentali. Il 17 gennaio 1988 scendemmo in campo all’Appiani di Padova. Una giornata uggiosa sotto tutti i punti di vista, tipica della valle Padana. A quindici minuti dal termine, tra lo sconforto generale, eravamo sotto di due gol. Un guizzo improvviso di “ciù – ciù” Paolucci riaccese le nostre speranze. Sul due a uno, dopo due soli minuti, Quartuccio di Torre Annunziata, per fallo in area patavina, assegnò un rigore a nostro favore. Totò De Vitis, dal dischetto, colpì il palo alla sinistra del portiere ed il difensore dei biancoscudati Russo, nella foga, anziché rinviare depositò il pallone in fondo alla sua rete. Era il 2 a 2 definitivo.

In panchina mi girai per esultare con Pasinato, me lo ritrovai nel fango a terra, privo di sensi. Lo trasportammo in barella nello spogliatoio e poi all’ospedale. A fine gara passammo con la squadra a verificare le sue condizioni. Preoccupato mi fermai la notte a Padova ed al mattino successivo gli resi visita. Con sorpresa lo trovai già in piedi, vestito di tutto punto, aveva già firmato il foglio di dimissioni. Rientrammo velocemente a Taranto. Il martedì riprese regolarmente gli allenamenti. All’ingegner Fasano che era passato a salutarlo chiese ridendo: “Presidente che dice ora ce lo meritiamo un premietto?”.

Pareggiammo a Lecce con una doppietta di Roselli dopo essere stati in vantaggio sino a 5 minuti dal termine. Vincemmo in trasferta contro il Genoa e battemmo in casa il Brescia con una doppietta di Totò De Vitis. La classifica cominciava finalmente a sorriderci. Il 17 aprile, il giorno dell’inaugurazione della nuova curva sud dello Iacovone, impattammo due a due in casa con il Bari. Era la prima volta che Maiellaro scendeva a Taranto da avversario. Il primo maggio un gol di Paolucci regalò la vittoria contro la Cremonese.

Il 22 maggio, a 4 giornate dalla fine del campionato, scendemmo al vecchio Grezar di Trieste. Una partita disperata, occorreva muovere la classifica. In tutti i modi. Non mi vergogno a dire che prima della gara chiesi agli avversari di non infierire. Temevo il peggio. Loro, penalizzati di 5 punti stavano rinvenendo in classifica alla grande. Tra gli alabardati spiccavano, oltre al “barone” Causio, altri giocatori di prestigio per la categoria. Invece chiudemmo il primo tempo inaspettatamente in vantaggio sul 3 a 2. Nello spogliatoio Totò de Vitis, da buon capitano, fece da paciere tra Roselli e Beppe Donatelli che presi dal nervosismo si stavano beccando. Abbracciò entrambi e li fece sbollire sotto la doccia fredda. Nella ripresa accadde di tutto, con il risultato che cambiava ogni cinque minuti. Passammo ripetutamente dall’euforia alla depressione. Fummo inizialmente rimontati sul 4 a 3, ma nell’ultimo quarto d’ora due prodezze di Roselli e Paolinelli ed un rigore trasformato da De Vitis fissarono il risultato sul 6 a 4 in nostro favore. Era avvenuto un miracolo. Rimarrà nella storia rossoblu.

La domenica successiva vincemmo in casa contro l’Arezzo, allora allenato dall’ex bomber dell’Inter Antonio Valentin Angelillo, uno del mai dimenticato trio argentino degli angeli dalla faccia sporca assieme a Maschio e Sivori. Ora mancava un solo punto alla salvezza matematica.

Ce lo andammo a prendere allo Iacovone, con una giornata di anticipo, contro il Padova, nella penultima di campionato. Considerate le difficoltà premesse, era imperativo mantenere la categoria con una sana gestione, fu come vincere il campionato. Per necessità economica, nella successiva campagna trasferimenti, cedetti Totò De Vitis all’Udinese e Rosario Biondo al Como. Era indispensabile fare cassa per dare continuità. Allora come sempre.

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