Il carnefice Fini e l’aura mesta ancora viva su quella partita. Le gioie effimere costruite negli anni e la necessità di girare una pagina, ormai aperta da troppo tempo. Torna una sfida mai uguale ad altre e CosmoPolis apre le ali planando sulla gara più amara della storia rossoblu
Le tre foto, non sono scelte a caso. La prima racconta un mistero ancora irrisolto, quello del gol annullato ad Igor Marziano nella sfida del Cibali. La seconda ha un responsabile, chiaro ed evidente, il signor Mario Mazzoleni da Bergamo, fratello del più famoso Paolo. De Martis affonda Riganò in area. Per il fischietto lombardo è tutto regolare. Tutto liscio. Così doveva essere e così è. Nella terza invece, c’è Ciccio Galeoto, il cui referto medico, successivo al pugno rimediato da uno steward durante l’intervallo, è ancora custodito nell’ospedale della città etnea.
Ci abbiamo provato tante volte, da tifosi ancor prima che da cronisti ma la gomma, un’infallibile Faber-Castell Vinyl Eraser, cimelio vintage tirato fuori dallo scatolone delle elementari, nonostante gli anni di onorato servizio, in questo caso sembra proprio non funzionare.
Non cancella la parte bianca, quella più morbida che strofinata ossessivamente sul foglio riesce solo a far cadere sul pavimento scoloriti trucioli gommosi, e tantomeno da quella blu, ruvida, tosta e cattiva che in preda alla smania di rimuovere la macchia, finisce con lo strappare il foglio senza mai eliminare le conseguenze dell’errore.
È un incubo ricorrente, uno spartiacque fallito, un incrocio sbagliato ripetuto in loop senza che a distanza di vent’anni si riesca a trovare la forza per cambiare strada. A quella settimana, a quel duello tra due “Sistemi” ci si ritorna sempre, con mestizia, quasi a ricordare il lutto, ad accarezzare tristemente quel momento a cui tutti ancora apparteniamo, che avrebbe dovuto rappresentare l’apice sportivo del pallone rossoblu moderno, la normale rinascita e che invece è finita col diventare la Nagasaki del calcio tarantino.
Un dramma sportivo costante, iperbolicamente paragonato ad una delle pagine più nere della storia contemporanea, perché capace di colpire oltre l’immediato, di disseminare sull’immaginario campo di battaglia non solo la generazione cresciuta a pane, Triuzzi e Riganò, stroncata al triplice fischio di quella “non partita” e abbandonata alla sirene della Serie A delle PayTv, ma anche di lasciare ferite sulla pelle della tifoseria jonica, che nel tempo continuano a spurgare sangue, coinvolgendo tutte le varie anime di appassionati che in maniera più o meno radicale professano il credo del “Al campo non ci vado più da Taranto – Catania”. Una religione, non meno importante di altre dalle nostre parti, un’appartenenza che affonda le radici in un tradimento.
Taranto – Catania non è solo una partita e mai potrà esserlo, fino a quando il tarlo non sarà estirpato definitivamente. Nel frattempo c’è stato il missile di Mancini, piuttosto che l’audace incursione albiceleste del pugnace Bellocq. Attimi di gioia, serotonina che migliora il momento. Palliativo che accuccia l’anima e fa gridare senza troppa convinzione ad una vendetta che in realtà alla data odierna ancora non è stata ordita dagli Dei del Calcio, anime nobili dotate sì, di rara cattiveria ma anche di ingegno sopraffino, capaci di ricucire storie ormai impolverate e di riaccendere fiamme, divenute così fioche tanto da non poter essere notate da occhio mortale. Tocca attendere che sia il momento, nel frattempo, è ancora tempo di Catania – Taranto, la partita che non è solo una partita.