Le dimissioni del presidente Greco, l’elezione del nuovo numero uno dell’organismo che raggruppa le imprese edili. L’irruzione sulla scena della geo-politica delle differenti provenienze territoriali. Per capire cosa stia accadendo, in quelli che un tempo venivano chiamati corpi intermedi, bisogna affidarsi ad un vecchio aforisma di Eugène Ionesco
Se la politica (locale) non se la passa bene, le associazioni (locali) non godono di grande salute. Sia l’una che le altre ricordano un vecchio aforisma del grande drammaturgo rumeno, Eugène Ionesco: “Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene”. E’ come passare, insomma, dall’Ospedale alla Casa di cura. Dall’Atene che piange alla Sparta che non può ridere. Dalla Nazionale di calcio di Mancini, che non si qualifica ai Mondiali, a quella di Spalletti che avrebbe fatto meglio a non partecipare agli Europei. Cambia poco, quasi niente, alla fine. La politica cittadina è ai minimi termini, a corto di progetti, rancorosa, trasformista, dal consenso elettorale calante neanche fossimo ai giorni successivi le notti di luna piena. Chi legge questo giornale, corsaro e riformista in egual misura, conosce bene queste cose. Le associazioni, quelle che un tempo venivano chiamate corpi intermedi, replicano in molti casi questo schema negletto. Soffrono del mal di politica, di una deriva correntizia della democrazia, di una visibilità che tracima nel protagonismo anodino da selfie. L’autoscatto che non ti fa scattare.
Nelle scorse settimane il presidente Greco si è dimesso da Aigi, la struttura che raggruppa le imprese dell’indotto ex Ilva. Nei prossimi giorni andrà eletto il nuovo presidente di Ance, l’associazione degli edili. La contrapposizione tra l’uscente (Fabio De Bartolomeo) e il probabile sfidante (Vito Messi) acuisce conflitti che si estraniano dai programmi. Amplifica discussioni che lambiscono appena il merito. Fa irrompere sulla scena la geo-politica delle differenti provenienze territoriali. Come la politica, le associazioni sembrano circoscrivere la propria funzione negli spazi da occupare, nella gestione senz’anima di un potere nudo. Peccato. Taranto, per quel grande laboratorio di opportunità economiche ormai diventata, meriterebbe altro. Un’altra classe dirigente, altri profili, un altro approccio. Un’altra politica, altre associazioni. Non può tutto limitarsi ad allungare semplicemente le mani sulla città. Lasciando in cambio solo le briciole. Anzi, neanche quelle.