di Vittorio Galigani
Urgono correttivi al sistema calcio. Il terzo campionato professionistico del Paese rischia d’implodere
La serie C. Il terzo campionato professionistico italiano. Che si vada (finalmente) vero la stagione delle riforme? É nelle aspettative generali. Sarebbe proprio ora!
La “sostenibilità”. Anni di speranze andate in fumo. Una aspettativa sempre più ricorrente. Inseguita, ma mai raggiunta. Il “cavallo di battaglia” di tutti i presidenti avvicendatisi nella poltrona guida della terza serie. Ne parlava Mario Macalli. La sosteneva Gabriele Gravina. La auspicava Francesco Ghirelli. Sfugge ancora, nel presente, alle mani di un indaffarato Matteo Marani.
Una categoria che rischia di implodere sotto il peso di impegni finanziari che nessuno è in grado di sostenere. Troppe infatti 60 (sessanta) squadre per dividersi i pochi “spiccioli” ricavati dalla cessione dei diritti televisivi. Si, perché il peso specifico dei tre milioni di euro annui, frutto del contratto biennale sottoscritto con Sky, solo apparentemente riempie gli occhi ed il portafogli. Nella specifico, nella ripartizione, corrisponde a sole cinquantamila di appannaggio per ogni Club. Una quisquiglia. In pratica lo stipendio lordo di un anno per un calciatore di categoria. Peraltro mediocre.
L’esempio calza a pennello. Perché è proprio il costo del lavoro che inguaia i presidenti di serie C. Troppe 60 squadre in categoria, abbiamo detto. Occorre immediatamente una riforma qualificata. Sui numeri. Sulla qualità del prodotto. Sulle strutture. Sui ricavi. Tutto certificato dal grande stato di sofferenza in cui le Società di Lega Pro sono costrette ad operare. Della riforma, indispensabile, avremo modo di approfondire più avanti.
Sulla più equa ripartizione dei diritti televisivi è invece necessario intervenire immediatamente. Un esempio? Pescara, Perugia, Padova, Vicenza (per fare un esempio) non possono essere trattate alla stregua di piazze in cui le utenze a Sky si contano sulle dita di una mano. La ripartizione va gestita nel rispetto delle condizioni di mercato. Più abbonamenti mi porti e più ti elargisco. Una decisione da assumere con un’adeguata presa di coscienza del rapporto commerciale. E non in assemblea di Lega. Con voto per alzata di mano. A maggioranza semplice.
Senza contare che, per facilitare le dirette tv Sky, il calendario è stato stravolto dallo “spezzatino”. Con sensibili perdite sugli incassi al botteghino. Causa gli anticipi, i posticipi e le notturne imposti dal palinsesto dello sponsor. Con buona pace dei cinquantamila euro che, senza distinzione di rango, la Lega distribuirà solo a fine stagione. A tutti. In parti uguali. Senza rispetto dei parametri relativi agli indici sulle vendite degli abbonamenti.
Come sarebbe giusto scovare una formula migliore sui rimborsi imposti dalle norme per le squadre ospitate. Stabiliti oggi in percentuale sull’ incasso di chi gioca in casa. Un esempio? Il Catania che ospita il Picerno gli gira un importo nettamente superiore di quello che restituiranno i lucani a campo invertito. Non esiste perequazione. Non esiste equità. Non esiste parametro a una logica normativa e contabile.
Accennavamo sopra alla sostenibilità. In ottica di prossima riforma va risolto, quanto prima, questo annoso problema.
Troppe 60 squadre. Molte delle quali, in caso di promozione alla categoria superiore hanno dimostrato di non essere in possesso dei requisiti strutturali richiesti dalle norme. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Ma anche molte delle neo promosse in Lega Pro hanno denunciato la medesima carenza.
Siamo la nazione degli stadi più obsoleti. Almeno questo è risaputo. La categoria si migliora che provvedimenti mirati. Straordinari. Indispensabili. E qui subentra, appunto, la sostenibilità.
Ricordo un bel progetto di Gabriele Gravina sulla terza serie. Una sorta di B2 a 20 squadre. Un torneo di élite con un appannaggio economico adeguato. Tale da concedere, ai club più virtuosi, la possibilità di una sana gestione economica.
A scendere una serie C2 semiprofessionistica con ristori sull’utilizzo dei giovani. Sulla base contrattuale. Sulla contribuzione. Con una modifica anche alla composizione di quel campionato. Quella riforma coinvolgeva, a pioggia, anche la Lega Nazionale Dilettanti.
Una riforma globale. Mirata a evitare gli sperperi. A bandire lo sproposito dei contratti con importi oltre i centomila netti. Con un meccanismo promozioni/retrocessioni tale da non provocare traumi di gestione e di bilancio.
Nel contesto della crisi economica si inserisce il rapporto commerciale con le categorie superiori. Per i club di Lega Pro, al momento, è basata più sulla possibilità di ottenere indennizzi di “valorizzazione” per i giovani “importati” che non su quelli da “esportare”. Manca l’utilità economica prodotta dalla cessione di giovani provenienti da proprio settore giovanile, quanto provenienti dai dilettanti.
Questa visione, originata appunto dalle difficoltà economiche, ha impoverito i contenuti tecnici del campionato. Questa spirale, se non interrotta, porterà inevitabilmente al collasso economico del sistema della terza serie. Categoria da sempre ritenuta, non a torto, fucina di talenti per serie A e B.
Nel contesto, sono tanti i però che hanno frenato la riforma della terza serie. Le “guerre” interne tra le Leghe sulla ripartizione del denaro. La battaglia per l’accaparramento delle poltrone. La “voce” grossa concessa ai Club della serie A dovuta alle ingenti risorse economiche che gestiscono. I molteplici problemi di politica sportiva emergenti a “Palazzo”. “Ragioni” che hanno raffreddato l’innovazione. Come il processo della “sostenibilità”.
Al momento, in carenza di intese, tutte le idee sono parcheggiate in fondo ai cassetti delle scrivanie istituzionali. Tutto in attesa della prossima assemblea straordinaria che ci auguriamo sappia partorire il progetto migliore.
Tutto “cammina” a scapito dei Club della Serie C. La sostenibilità rimane una chimera. La categoria rischia di implodere. Perché le iniziative di facciata della gestione Marani, alla ricerca più dell’immagine che della sostanza, non hanno portato gli auspicati risultati economici. I cinquantamila euro pro capite di Sky ne sono l’esempio più lampante. Una goccia d’acqua nell’oceano dei costi di una gestione finanziaria (globale) che “pesa” alle Società una media di 2.5/3 milioni di euro a stagione sportiva. Nel migliore dei casi. E ci riferiamo, bada bene, ai club più virtuosi.
Iniziative promozionali encomiabili quelle attuali della Lega Pro. Ma di facciata. L’ingresso in campo con la mano offerta ai bambini in divisa da gioco o il rispetto di un rituale che gratifica l’occhio e intenerisce il cuore. Che incrementa l’impegno aziendale, ma non ne arricchisce il portafogli!
Con un’amara, reale, considerazione. L’acqua è sempre più scarsa e la papera, in queste condizioni, non galleggia. Il rischio è di rimanere impantanati nella crescita, sconfinata, della massa debitoria. Attenzione, che vale per tutti!