di Vittorio Galigani
Le posizioni di Matteo Marani sono ai più incomprensibili ormai. Senza riforme vere la Terza Serie muore neanche tanto lentamente. Il professionismo ha costi che non possono eludersi
La Lega Pro, pezzo dopo pezzo, si sta “sgretolando” sotto i piedi di Matteo Marani. Le falle sono evidenti. Taranto e Turris sono soltanto esempi scontati. Le recenti modifiche ai requisiti, indispensabili, per il rilascio delle prossime Licenze Nazionali indicano un cambio di passo determinante che si è imposto il Consiglio Federale. Matteo Marani, arroccato sulle sue posizioni, non vuole rendersene conto. Si ritiene “intoccabile”. La terza serie, giorno dopo giorno, perde interesse e credibilità.
Riflettendo, ci sarebbero un’infinità di procedure per “arrivare” alla tanto auspicata riforma, almeno per quanto riguarda la Lega Pro. I vertici della Federcalcio, nello specifico, hanno scelto una “scorciatoia” più che efficace, immediata. L’inasprimento delle norme che provocherà l’automatica defezione dei club meno virtuosi.
La data del 6 giugno prossimo potrebbe infatti rappresentare quella della “svolta”. I segnali sono più che evidenti. Il mancato rispetto dello 0.8 come indicatore della liquidità, rilevato dalla Covisoc sui dati della situazione patrimoniale intermedia al 31 marzo 2025 e comunicato agli interessati entro il prossimo 26 maggio, obbligherà molte Società al riequilibrio della propria situazione finanziaria. Il pericolo è quello della immediata esclusione dalla categoria.
Per ovviare a quella carenza le norme concedono alcune soluzioni. Il raddoppio della fidejussione a garanzia del campionato, da 350 a 700 mila euro piuttosto che un deposito a garanzia (sempre di 700 mila euro), denominato “escrow account” effettuato presso primario Istituto di Credito, riconosciuto dalla Banca d’Italia, in favore della Lega Calcio Professionistico.
Diversamente ancora: versamenti in conto aumento di capitale. Aumento di capitale sottoscritto e versato in denaro. Copertura totale delle perdite o, da ultimo, finanziamento soci, postergato ed infruttifero. Esperienze del passato hanno evidenziato quanto sia “complicato” e di poca “fiducia” il rapporto delle società di calcio con gli Istituti di Credito e con le Compagnie di Assicurazioni riconosciute dall’IVASS. Il rischio, pertanto, che in diversi rimangano al palo, è notevole.
Ma le modifiche non sono soltanto queste, perché per essere ammessi al campionato 2025/26 le Società dovranno dimostrare di aver pagato, entro il 6 giugno prossimo, anche gli emolumenti ai tesserati ed ai collaboratori tutti, le relative indennità di fine carriera ed i contributi INPS sino al 30 aprile 2025 più l’Irpef sino al 31 marzo 2025. Più gli eventuali debiti nei confronti delle Leghe e delle Società consorelle. Un evidente accumulo di impegni finanziari di non poco conto.
Taranto e Turris sono fuori da tempo abbiamo detto. Messina, Lucchese, Triestina, Ascoli, Foggia, solo per citarne alcuni, sono da tempo, palesemente, in affanno economico. Non è ancora possibile quantificare quanti, tra un mese, saranno in grado di assolvere agli impregni finanziari imposti dalle norme. Certo è che chi, al 31 marzo scorso, non aveva i numeri idonei nel rispetto dell’indicatore di liquidità, incapperà in difficoltà maggiori alla data del 6 giugno.
E non illudiamo nessuno, sul mantenimento dell’organico a 60 squadre, ricorrendo ai ripescaggi. Perché tra fondo perduto (300 mila euro) tassa di iscrizione (100 mila) e fidejussione (350 mila) sempre 750 mila euro, sull’unghia, ci vogliono.
Alla resa dei conti quante saranno le società, emergenti dalla Serie D, che vogliono e possono permettersi, pronti via, un simile sacrificio economico. E quante potranno essere quelle che, essendo vietata la deroga alle ripescate, possono dimostrare di avere la disponibilità di una struttura sportiva idonea per giocarci la terza serie?
Senza poi contare che proprio il Presidente Giancarlo Abete ed il coordinatore del dipartimento della Lega Nazionale Dilettanti Luigi Barbiero, in considerazione delle evidenti difficoltà di organico, manifestatesi nel corso dell’ultima stagione sportiva in quarta serie, hanno allo studio un progetto che prevede, in un prossimo futuro, la riduzione di quella categoria a 8 gironi.
Matteo Marani si arrocca invece sul “lancio” (prossimo) della salary cup e non si rende conto che rischia trovarsi tra un mese, al rilascio delle licenze nazionali, con un organico “zoppo” causato dalla corposa bocciatura dei club inadempienti. Ma poi che senso avrebbe l’imposizione del “tetto” (tutto da scoprire e da articolare) del monte ingaggi, quando un imprenditore della forza economica di Vigorito (mi scusi il presidente se lo porto da esempio), per ovviare al malcelato tentativo di “inventarsi” una fragile sostenibilità, si presenta in Lega con una fidejussione “milionaria” a copertura, eventuale, del costo del lavoro in eccesso.
Senza contare, sempre per esempio, che il professionista che si tessera a Pineto (mi perdonino i validi dirigenti abruzzesi), che vanta uno stadio con capienza di 1.500 posti e mira a una tranquilla permanenza in categoria, ha pretese economiche nettamente inferiori a quelle del giocatore che si accasa a Pescara, che dista appena 20 chilometri, ma ha una stadio da 30 mila posti e deve sempre puntare a vincere. Programmi, costi, ricavi ed ambizioni con differenze incolmabili. Anche nella compensazione della percentuale degli incassi spettante a chi gioca in trasferta.
Ecco perché la soluzione migliore è quella di una terza serie a 20 squadre, girone unico, dal “fascino” smarrito, con competitivo equilibrio economico e sportivo. Al di sotto? Tanto semiprofessionismo, tanti contratti di apprendistato, tanti giovani. Valorizzazioni e minutaggio. Tanto risparmio sul costo del lavoro, con una sostenibilità finalmente acquisita godendo del maggior risparmio sugli oneri riflessi.