Vito Ladisa si è autodefinito presidente, ma il suo nome non compare nell’organigramma societario. Così come non compaiono quelli della nutrita schiera di collaboratori che ruotano attorno a lui. Trasparenza zero. Rispetto per la città, per le Istituzioni e per i tifosi, anche
Il Taranto non vince in casa. Di nuovo. Ormai non fa neppure più notizia. La classifica invece sì: tre squadre davanti e nove punti di distacco dalla vetta. Un margine che somiglia più a un fossato che a un semplice ritardo. E mentre la capolista corre, il Taranto arranca, si ferma, riparte a metà e poi si spegne. Come un’auto con il motore sempre su di giri… ma senza marcia inserita.
Avevamo già scritto, e lo ribadiamo, che le rivoluzioni di gennaio raramente portano risultati. Il Taranto, però, non si è limitato a una rivoluzione: ha optato per una tabula rasa. Una ventina di calciatori tra entrate e uscite, un direttore sportivo salutato, un allenatore mandato via con tutto lo staff e una bocciatura totale dell’organico di inizio stagione. Un motore completamente smontato e rimontato. Peccato che, una volta acceso, continui a tossire.
Ma il problema, come spesso accade, non è solo tecnico. È strutturale. Perché il Taranto non ha smontato soltanto la squadra: ha smontato la società. O meglio, l’ha resa invisibile.
Ufficialmente non esiste un presidente. Non esiste un consiglio di amministrazione. Esiste un “Comitato dei Saggi”, entità quasi mistica, del quale non sono noti né i compiti né le responsabilità. Vito Ladisa si è autodefinito presidente, ma il suo nome non compare nell’organigramma societario. Così come non compaiono quelli della nutrita schiera di collaboratori che ruotano attorno a lui. Trasparenza zero. Rispetto per la città, per le Istituzioni e per i tifosi, anche.
A Taranto non c’è una sede sociale operativa, non c’è una segreteria, non c’è nemmeno un numero telefonico ufficiale a cui rivolgersi. I calciatori, cosa ancor più grave, non vivono la città. Può sembrare un dettaglio, ma nel calcio non lo è mai. Chi guida il club, impegnato in tutt’altri settori, probabilmente ignora queste dinamiche. Ma la realtà resta, che lo si voglia o no.
E poi ci sono le scelte tecniche improvvisate, quelle che fanno sgranare gli occhi. Come l’impiego di Sante Russo contro lo Spinazzola: arrivato il giorno prima e subito catapultato in campo dal primo minuto (manco avesse le qualità per vincere la partita da solo). Una decisione che definire discutibile è un atto di bontà. Un insulto per chi si era allenato ed impegnato tutta la settimana e una pratica che non si vede neppure in Terza Categoria. Altro che professionismo: qui siamo all’anti-calcio. E poi si ha il coraggio di parlare di impegno e “lavoro” settimanale.
Non a caso, nei minuti finali della partita, Russo zoppicava vistosamente. E allora la domanda sorge spontanea: i nuovi calciatori, che si tesserano, prima di utilizzarli, vengono sottoposti a visite mediche complete? Quelle muscolari, funzionali, di competenza del responsabile sanitario, non solo la classica idoneità cardiaca obbligatoria. E ancora: questi giocatori sono davvero funzionali a un progetto tecnico? O stiamo semplicemente collezionando figurine? Perché le squadre si costruiscono con i calciatori, non con i nomi su una lista.
Sul campo, il Taranto sembra avere benzina, pardon “birra”, solo per un tempo. Anzi, per mezz’ora. Poi la manovra si spegne, il centrocampo si opacizza e gli attaccanti restano isolati. Piovono palloni inutili dalla trequarti, si accumulano calci d’angolo improduttivi, senza che ci sia una “torre” capace di farsi valere nel gioco aereo. Più la partita invecchia, più si ricorre alla soluzione individuale, al colpo della domenica, nella speranza che qualcuno si “inventi” ciò che non è stato costruito.
E così, mentre la vetta si allontana, arriva puntuale la contestazione. Il bersaglio? Ovviamente l’allenatore. Perché nel calcio, si sa, la colpa è sempre dell’ultimo arrivato. Mentalità da tifoso, nulla di nuovo.
A tal proposito, Vito Ladisa, dal canto suo, ha più volte dimostrato una spiccata sensibilità verso la curva. Messaggi populisti, slogan pronti all’uso: “Insieme vinceremo”, “Uniti si vince”. Peccato che, a oggi, si stia vincendo ben poco. E che tra i suoi uomini di fiducia ci sia già un allenatore, Francesco Bitetto, oggi con mansioni diverse. Una bella e brava persona, stimata, per carità, ma, stando ai mugugni che filtrano dallo spogliatoio, non proprio amatissimo dalla squadra.
Ma non c’è da preoccuparsi. Perché Vito Ladisa, che si è già autoproclamato vincitore di guerre ben più ardue e importanti, saprà sicuramente come gestire anche questa. In fondo, di cosa stiamo parlando? È solo una partita di calcio. Roba da poco. Briciole! O forse no.


