L’ IFAB riscrive la storia del penalty. Da oggi i portieri dovranno opporsi al tiro bendati, girati di spalle al tiratore e con le mani legate
L’incubo si manifesta ciclicamente da circa vent’anni a questa parte, ogni qual volta qualcosa si muova in modo scomposto, quasi pagliaccesco, in prossimità di una riga disegnata per terra.
Non fa differenza si tratti di una foglia, di un gatto o di una brutta persona, così come non importa la circostanza e tantomeno il luogo. Se qualcosa o qualcuno si muove scomposto su di una riga, quello per me è Jerzy Dudek, o quantomeno vuole rievocarlo, e a me questo basta per odiarlo appassionatamente.
Il trauma resta, ed ogni volta che incroci “l’orco”, sei tu quello a cui stavolta tremano le gambe, ma la possibilità di uscire dal tunnel, di sconfiggere il demone esiste, e succede che te la porga sul fatidico piatto d’argento l’IFAB. Chi? Calma, spiego.
L’International Football Association Board, IFAB appunto è un insieme di persone che di professione studia come rovinare lo sport più bello del mondo, inventandosi sempre più spesso regole assurde che servono da un lato a garantire i loro lauti emolumenti e dall’altro ad allontanare una buona parte dei già pochi puristi della materia.
Meno di una settimana fa hanno deciso che bisognava spararla grossa ed hanno pensato rompere i maroni ai portieri (che già di loro, hanno tendenzialmente un approccio strano alla vita), ma non in un frangente qualsiasi della loro mansione lavorativa, bensì durante il momento principe dell’agone professionale. Quale? Il rigore, ovvio.
Si sono riuniti a Zurigo, ed hanno pensato di mutilare il penalty. Come? “Impedendo ai portieri di assumere qualsiasi comportamento che possa distrarre i calciatori nell’esecuzione del rigore, quali toccare i pali, la traversa, la rete o ritardare la battuta”. Spiegato a noi comuni mortali, significa che l’attaccante fa quello che gli pare, salta, corre, eventualmente se capace può anche ballare, mentre il portiere sta fermo, immobile sulla linea senza poter fare un passo sino a quando non parte il tiro, riducendo la massima punizione all’attesa della trasformazione e limitando esponenzialmente la possibilità che l’estremo difensore esca vincitore dal duello. Tutto nel nome dello spettacolo, tutto all’insegna dello show.
Assurdo, ma vero. Si perché al netto dell’odio verso il portiere polacco, davanti ad un gesto già di suo lontanissimo dalla concezione cavalleresca dell’onore, come risulta essere il calcio di rigore, è impossibile non parteggiare per la fazione debole.
Il portiere era già un condannato prima, uomo solo davanti ad un plotone d’esecuzione, indiano con arco e frecce che si trova davanti al solito, insensibile Clint Eastwood. Da oggi, il coefficiente di difficoltà si decuplica, la lotta diventa ancora più impari perché gli si vieta anche la possibilità di provare a giocar d’astuzia, di ipnotizzare, direbbe Bruno Pizzul, l’attaccante di turno. C’è uno col pallone, che deve fare gol e l’altro che lo deve raccogliere dalla rete.
Com’era, Clint? “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto”, ecco siamo ad un passo da questo, nel frattempo per essere sicuri, i portieri potremmo anche bendarli e metterli di spalle al dischetto, mica male signori dell’ IFAB, vero?