Secondo i dati dell’Istat il fenomeno della carenza di nuovi nati colpisce maggiormente le città con più donne disoccupate e poche infrastrutture pubbliche: in aiuto i fondi del PNRR
Esiste la formula magica in grado di arrestare la denatalità nel nostro Paese?
I nuovi nati in Italia sono meno di 400mila: è il dato più basso dall’Unità della nostra nazione.
Un fenomeno divenuto ormai così eclatante da spingere l’imprenditore e proprietario della Tesla, Elon Musk, a dichiarare sui social: “L’Italia sta scomparendo”.
Soluzioni efficaci al contrasto dello scarso numero di nascite nel nostro Paese partono, sicuramente, da un’analisi approfondita delle cause scatenanti.
CAUSE – L’età in cui le donne danno alla luce il primo figlio è aumentata e questo può essere sia una concausa della denatalità che una conseguenza dell’attuale contesto socio-economico: fino ai 30 anni, infatti, la donna (come anche l’uomo) è impegnata a costruirsi una posizione lavorativa solida, divenuta ormai conditio sine qua non per mettere su famiglia.
Questa ipotesi è suffragata da altri due dati: l’età in cui la donna partorisce per la prima volta diminuisce nelle città con più disoccupazione femminile.
Questo vuol dire che nelle città in cui le donne lavorano di più si registrano meno nascita? Assolutamente no, anzi.
Secondo i dati Istat la fecondità di una città va spesso di pari passo con l’occupazione femminile, come mostra il caso di Bolzano, in cui il numero maggiore di nuovi nati si accompagna alla percentuale più alta di donne lavoratrici.
E, se ci soffermiamo a riflettere, il motivo è abbastanza ovvio: l’inflazione, il rincaro energetico e dei beni alimentari di prima necessità determinano un quadro all’interno del quale le giovani (più o meno) coppie spesso aspettano di metter su famiglia, specie se uno dei due non lavora.
Il vecchio modello di famiglia in cui l’uomo lavora e la donna sta a casa ad accudire i figli in molti casi non è solo superato ideologicamente ma economicamente insostenibile.
Altro dato sicuramente indicativo è il seguente: le città con più nati nel nuovo anno sono quelle che offrono più servizi alle famiglie.
Anche in questo caso, il perché è lapalissiano: le donne che lavorano hanno bisogno di essere supportate da infrastrutture adeguate, dagli asili nido ai campus estivi, che permettano loro di gestire famiglia e occupazione senza caricarle di ulteriore (e pericolosissimo) stress psico-fisico.
Insomma, l’adattamento ai cambiamenti premia le nazioni più “evolute” e relega, in questo caso, l’Italia al sest’ultimo posto nel mondo, secondo la Central Intelligence Agency.
LA PUGLIA – Dove si colloca la nostra regione all’interno di questo quadro piuttosto desolante?
Se il tasso di natalità dell’Italia è di 6,7 nati ogni 1.000 abitanti, la Puglia si trova perfettamente in linea: non a caso, alla luce di quanto detto prima, si tratta di una regione in cui la disoccupazione femminile e la mancanza di servizi alla famiglia sono più evidenti.
Nella giornata del 2 maggio, al termine della seduta del Consiglio regionale pugliese che ha bocciato la proposta della Lega di introdurre un contributo di 5mila euro a donna per ogni nuovo nato, la consigliera del M5S, Antonella Laricchia, ha sottolineato che uno dei disincentivi a fare figli è la mancanza di “servizio pubblico efficace e necessario a supportare la famiglia” e a farne le spese è quasi sempre la mamma, costretta a rinunciare a lavorare.
In effetti, secondo l’Eurostat la spesa pubblica per figli e famiglie degli ultimi anni, in Italia, è stata veramente bassa rispetto agli altri Paesi.
Ma quali sono gli strumenti più efficaci per sostenere le famiglie e tentare concretamente di risolvere il problema della denatalità? Sicuramente la presenza di infrastrutture pubbliche come gli asili nido, la cui offerta deve essere calibrata e adeguata alla platea potenziale.
TARANTO – La nostra città, ad esempio, che ha un tasso di natalità più basso della media italiana e pugliese (6,3 nuovi nati per mille abitanti) e, coerentemente con quadro sopra esposto, anche uno dei tassi di disoccupazione femminile maggiori d’Italia (solo il 31,4% delle tarantine di età compresa tra 20 e 64 anni lavora, su una media nazionale del 53%) , ha anche una bassa offerta di asili nido comunali.
Su circa 3.600 bambini in età compresa tra 0 e 3 anni (dati UrbIstat per l’anno 2021 nel capoluogo jonico) infatti, l’offerta di infrastrutture pubbliche al 2022 è di una decina di asili nido.
Lo scorso anno Taranto ha ricevuto più di 184mila euro per i Centri estivi 2022, mentre il PNRR ha destinato al capoluogo jonico 1.756.300 euro tramite il bando Futura, utilizzati per “lavori di ristrutturazione, messa in sicurezza e riqualificazione in polo innovativo per l’infanzia dell’I.C. Sciascia – plesso Monaco, sito in Viale Europa – Talsano” e “lavori di ristrutturazione, messa in sicurezza dell’asilo nido di via Pastore al Q.re Paolo VI”.
Nessuna nuova struttura costruita ex novo o riqualificazione di edifici già esistenti da adibire ad asili nido, insomma: al momento, le richieste approvate prevedono soltanto la risistemazione di asili nido già esistenti, con lo scopo di aumentare comunque l’offerta di posti disponibili.
Significativo il dato emerso dalle parole dell’assessore ai Lavori Pubblici, Mattia Giorno, che ha dichiarato l’impossibilità di partecipare ai bandi 2022 per le mense scolastiche “poiché c’era la condizione che la mensa fosse situata in un unico blocco con la scuola e da noi, come nella maggior parte delle realtà del Sud Italia, questo requisito non c’è quasi mai”. Una penalizzazione sicuramente importante, quella delle mense scolastiche, che al Nord Italia costituiscono, invece, la normalità.
Per compiere davvero un salto di qualità, tuttavia, è necessaria un’implementazione del numero delle strutture pubbliche a disposizione della popolazione residente: un obiettivo che potrebbe essere raggiunto anche grazie ai prossimi bandi del PNRR.
PNRR E FONDO CENTRI ESTIVI – Nell’ottica di aumentare l’offerta educativa per la fascia 0-3 anni e 3-6 anni si inserisce anche il Piano di costruzione di edifici scolastici per l’infanzia previsto dal PNRR, che stanzia nel complesso 4,6 miliardi di euro.
Di questi, 2,4 miliardi di euro riguardano la costruzione di asili nido (fascia di età 0-2 anni) e 600 milioni quella delle scuole dell’infanzia (3-6 anni) e dei poli dell’infanzia (che accolgono anche bambini 0-2 anni).
In arrivo anche il contributo per i Centri estivi 2023 che, grazie alla norma approvata l’1 maggio dal Consiglio dei ministri e contenuta nel cosiddetto “decreto lavoro”, assicura un finanziamento di 60 milioni di euro destinato ai Comuni e gestito dal Dipartimento per le politiche della famiglia. Un altro aiuto importante per le famiglie, specie nei mesi estivi, quando la chiusura delle scuole acuisce le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia.