di MARCO TARANTINO
La preside Annalisa Savino in una (civilissima) circolare ha osato stigmatizzare – richiamando Gramsci – l’aggressione fascista ai danni di tre studenti che distribuivano volantini davanti al ‘Michelangiolo’ di Firenze: guai a lei, il ministro Valditara l’ha definita “impropria e ridicola”
RIASSUNTO, che fa(rebbe) sempre bene alla salute, specie in un’epoca in cui il massimo dell’approfondimento è un’impronta digitale sullo smartphone e non mi riferisco (soltanto) ai ragazzi, i colpevoli buoni per tutte le stagioni. Sabato 18 scorso tre studenti di un collettivo di sinistra, che distribuivano volantini davanti al classico ‘Michelangiolo’ di Firenze, sono stati aggrediti e pestati, pugni e calci anche mentre erano stesi, da sei eroi di ‘Azione studentesca’, movimento che nel proprio sito ricorda d’essere la progenie de ‘Gli Antenati’, novembre del ’94, Francesco Romanazzi e Giorgia Meloni padri fondatori: “Rinascita della galassia identitaria”. I balilla di ‘Azione’ vanno fieri di un bel po’ d’altri stemmi: la Croce Bretone, simbolo celtico che celebra la “continuità della vita” (chissà quale); o la “non conformità” e soprattutto la difesa “della Tradizione” (chissà quale), con tanto di maiuscola. Del resto, “Cosa aspetti? Unisciti alla lotta”. Parole chiave, al posto di Apriti Sesamo: Fare Fronte. Una cinquantina di sedi in tutta Italia, molto attiva quella di Napoli ma anche la Sicilia se la cava bene.
Pestaggio, ho scritto. Piano, con le parole, ha intimato l’on. Federico Mollicone, fratellitaliano presidente della Commissione Cultura della Camera: dal video emerge “che è stato un fronteggiamento tra due gruppi”, sì, sei contro due o tre. Il PM fiorentino Pirozzoli ipotizza il reato di lesioni aggravate e ha fatto perquisire le case degli alfieri della Tradizione (attendiamo). La dirigente del ‘Michelangiolo’, Rita Gaeta, mi è sembrata un’aringa salata nel barile a bordo: “La situazione si sta rimettendo a posto”. Auspici vari ed eventuali. Ma certo.
SEGUONO un po’ di cose. Chi non riesce a nascondere la lingua in cantina, e il cervello in armadio, è un’altra dirigente, Annalisa Savino, dello scientifico ‘Da Vinci’. Che dirama una circolare per docenti, studenti e famiglie in cui si permette di definire Antonio Gramsci “un grande italiano” (come osa, ma in che Italia vive), di schierarsi contro “chi alza le frontiere, chi alza i muri”, essendo costui un uomo che “va lasciato solo, combattuto con le idee e la cultura”. Andando a concludere, sempre riferita al Gramsci di “Odio gli indifferenti”, nella condanna dell’aggressione e della matrice proto-politica: “Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano tanti italiani perbene, cento anni fa, ma non è andata così”. Come si permette: dichiarazioni da bolscevica. Infatti, dopo tre giorni governativi caratterizzati da un mutismo assordante, il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, trova le parole rovistando nel baule della sua indubitabile autorevolezza; e crocifigge la sovversiva Savino: “Lettera impropria e ridicola”. Capito? Impropria e ridicola. Sarebbe il ministro dell’Istruzione versus un’educatrice con la responsabilità di esserlo, e la schiena dritta per dimostrarlo. Mica Valditara la chiude lì: “Ricordare il proprio passato non ha nulla a che vedere con il fascismo o, peggio, il nazismo”. Per carità, Valditara: al posto dei volantini si stampino un po’ di manifesti, magari della razza, a occhio e croce mi ricorderebbe qualcosa del passato. Del resto, com’è evidente dalle sue parole incendiarie, quelle della preside Savino sottendono, secondo il ministro, “iniziative strumentali, che esprimono una politicizzazione che auspico non abbia più ruolo nella scuola”.
Si può capirlo, Valditara, una carriera in Alleanza Nazionale e una sublimazione da ideologo di Salvini: se lui è il primo, da ministro super partes, a non esprimere una politicizzazione, come osano i suoi sudditi, per giunta così smaccatamente? ‘Sta Savino, e le apologie marxiste che ha vergato: da Libretto Rosso di Mao. Ma chi l’ha fatta preside.
ANNALISA SAVINO, la cui amarezza immagino, è finita al centro di un caso nazionale non solo perché Valditara, fingendo di negarlo, ha ventilato provvedimenti sanzionatori; ma anche per la strumentalizzazione della sinistra dormiente, che della scuola si ricorda quando chiede voti (Letta) e non quando governa. Non sprecherò righe per indignazioni piddine un tanto al chilo e un chilo a un tanto per opportunità (e questa è bella grossa): me ne fotto anche di gente come Nardelli, Fratoianni, Speranza. La dirigente fiorentina si è dolorosamente sentita in dovere di replicare, se non proprio di difendersi (assurdo): ”Siamo in una scuola. Abbiamo sufficiente cultura per chiamare le cose con il loro nome”. Dubito che la quota cultura sia la stessa per altri eroi da moschetto senza libro, stavolta quelli di Blocco Studentesco, che poco dopo hanno dimostrativamente bruciato in piazza, con ostentata fierezza, la lettera della prof.ssa Savino. Il gesto, più che la Confraternita dell’Indice di 500 anni fa, mi ha ricordato ciò che gli squadristi, nel 1929, fecero con migliaia di copie della magistrale parodia dei ‘Promessi sposi’ di Guido da Verona; il quale poi per buona misura incassò pestaggio (si potrà dire?), oblio e interdizione: essendo letterariamente reo d’aver sfottuto il Duce, con la figura comica dell’inetto Don Gonzalo.
Non si fa.
‘BLOCCO STUDENTESCO’, immissario giovanile di ‘Casa Pound’ e altro non serve aggiungere, inasta com’è d’obbligo i suoi precetti nel web del focolare. Vi si leggono perle argomentate (sic!) di civile confronto retorico del tipo: “Selvaggia Lucarelli è una femmina squallida”, o anche, su Pasolini: “I suoi pippotti di critica sociale”. Anche di meglio, però: “Possiamo qui citare a titolo di esempio il Filippo Tommaso Marinetti di Necessità e bellezza della violenza, che ce ne offre una perfetta descrizione: E’ soltanto la violenza che ci può ricondurre l’idea di giustizia”.
Ora, esisterebbe un reato che si chiama Apologia di fascismo, art. 4 della Costituzione, da 6 mesi a due anni di reclusione. Risale al 1956 e in realtà è una rivisitazione dell’ex art.1 del ‘52, Legge Scelba, che era stato molto più duro e che venne mitigato all’italiana: non si può toccare la “difesa elogiativa”, semmai “l’istigazione”. Semmai. Okay.
Lo scorso 30 ottobre, per festeggiare, pardon, per commemorare i cento anni dalla Marcia su Roma, Orsola Mussolini, cromosomica pronipote e organizzatrice del raduno, ha convogliato ben duemila partecipanti a Predappio, diretti con cordoglio e vento in petto alla lapide di Benito. Orsola, estasiata per il successo, essendo anche spiovuti tanti “spagnoli della Falange: con la Spagna, Franco, c’è sempre stato un grande rapporto”, si era raccomandata preliminarmente, in partenza: niente saluto fascista, non attiriamo l’attenzione, solo mano sul cuore. Macché: le camicie nere, figlioletti addestrati inclusi, sudazzavano troppo testosterone littorio per star dietro ai pippotti della nipotina; e hanno marciato in orbace a ritmo di cadenza Maricentro con il palmo levato al cielo e le virili ugole intonate su inni epici come (riferiscono le cronache) ‘Faccetta nera’ e ‘Allarmi siam fascisti’.
Provvedimenti, interventi, aperture d’inchieste? Conseguenze legali e sostanziali?
Anche a voler star dentro la fattispecie di istigazione: se più o meno tutti possono fare tutto, alla fine basta isolare una persona pensante come la preside Savino e il problema è risolto?
Odio gli indifferenti: eh già.
Avrei una gran voglia di dare ragione al più celebre degli aforismi di Flaiano: “La situazione è grave, ma non è seria”.
Non fosse che stavolta è molto grave, e più seria ancora.
Tira proprio un’aria di merda.