Emiliano vuole rifare il sindaco di Bari. Decaro vuole fare il presidente della Regione. La via levantina al potere relega la democrazia, e i suoi presupposti di base, in un angolo buio. Gli appararti che si riproducono per gemmazione confliggono con un’idea compiuta di pluralismo
Emiliano potrebbe voler rifare il sindaco di Bari. Tornare lì dove tutto ebbe inizio, grazie ad una trovata geniale dell’allora presidente del Consiglio: Massimo D’Alema. In una sorta di staffetta tutta levantina, Decaro succede a Big Michele perché, quest’ultimo, possa succedergli. Comune. Regione. Tutto diviene interscambiabile, votato all’inerzia delle porte girevoli nella politica ormai ridotta a sultanato laico. I pugliesi gongolano, i baresi tremano. Il progetto è andato da tempo a farsi benedire; ciò che resiste è un famelico appetito per la gestione del potere. Per l’arrivismo personale e l’esaltazione di un io ipertrofico. L’occupazione di spazi e ruoli non per spirito di servizio, per una stagione circoscritta della propria esistenza, ma vita natural durante. Neanche si fosse vinto un concorso pubblico. Nemmeno si fosse unti dal Signore, al pari di un Berlusconi qualsiasi. Alla stregua di istituzioni fatti rientrare nell’alveo della proprietà privata. E’ lo scivolamento della politica verso un’accezione burocratica, da apparati che per gemmazione tendono a replicarsi, con la democrazia – e i suoi basilari presupposti – tenuti sotto scacco. Le carriere si costruiscono a tavolino, ormai. Non più nel segreto dell’urna. Nel pluralismo delle candidature. Nella dialettica tra diversi. Non si è molto lontani, con queste pratiche, dalla riproposizione di un regime. Un regime celato, confuso dalle movenze democratiche. Non ci si sorprenda poi se i risultati sono quelli che sono. Se la gestione amministrativa latita. Se il Sud diviene Sud di se stesso. Se la politica ha scelto di emigrare altrove. Come pugliese non riesco a gioire del tutto. Un pò mi spiace per i nostri cugini baresi.