di Francesca Leoci
Gli ultimi dati mostrano una perturbante correlazione tra l’inquinamento ambientale e l’aumento delle nascite di bambini affetti da sindrome autistica
Quanto i comportamenti umani possono impattare drasticamente sulla salute della popolazione? In che modo l’ingegnosità moderna contribuisce al cambiamento climatico? Come l’inquinamento ambientale, causato dai gas tossici emessi da impianti chimici e siderurgici per generare profitti, può alterare la genetica di un bambino già in fase fetale, portando a malattie irreversibili come l’autismo?
Sono tutte domande che gli scienziati e la stessa popolazione si pongono per capire quanto ci sia di vero nelle ultime ipotesi sulla possibile correlazione tra inquinamento ambientale e l’insorgenza della sindrome autistica. Negli ultimi anni, in Italia, si è registrato un aumento significativo delle nascite di bambini con disturbi dello spettro autistico. Sebbene non ci siano certezze definitive, numerose evidenze scientifiche indicano un’alta probabilità di associazione.
Le donne in dolce attesa vengono da sempre messe in guardia sui rischi di determinate condizioni per il loro bambino, come il diabete gestazionale, l’ipertensione, le infezioni virali e batteriche nei primi mesi, influenze gravi e malattie autoimmuni. Anche l’assunzione di alcuni farmaci (come paracetamolo, talidomide e antidepressivi) può compromettere la salute del piccolo. Insomma, tutti fattori derivanti dalla genitrice che potrebbero sopraggiungere direttamente al proprio feto.
Tuttavia, un aspetto spesso sottovalutato è quello dell’inquinamento ambientale, principalmente causato da grandi impianti industriali che emettono particolato (PM10 e PM2.5), ossido nitrico (NO) e biossido di azoto (NO2). In Europa, secondo quanto afferma l’Eea, l’aria inquinata rappresenta il più grande rischio ambientale per i bambini, causando 1.200 morti all’anno e malattie respiratorie, cardiache e del neurosviluppo, equivalenti alla perdita di 110mila anni di vita. L’Italia è il primo Paese dell’Eurozona per morti premature imputabili a particolato fine, NO2 e ozono, con il 97% degli europei esposti a livelli di PM2.5 superiori ai limiti stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Uno studio canadese – riportato da Association of Prenatal Exposure to Air Pollution With Autism Spectrum Disorder – rileva un’associazione significativa tra l’esposizione prenatale a NO e l’aumento dell’incidenza di disturbi dello spettro autistico (ASD), mentre non è stata riscontrata alcun legame significativo con PM2.5 o NO2.
Un’analisi del 2019 – confermata anche dall’Oms – ha chiarito che esistono evidenze crescenti di un’associazione tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico nei primi 1000 giorni di vita e alterazioni dello sviluppo neurologico del bambino.
È infine un recente studio danese del 2024 ad aver segnalato un’associazione tra l’esposizione delle donne gravide ad alti livelli di litio nell’acqua potabile e un aumento del 25-45% dei casi di autismo nei bambini.
Si tratta di studi, analisi, supposizioni. Eppure, essi rivelano una realtà preoccupante che palesa uno scenario assolutamente angusto. La crescente insorgenza di malattie, già nei primi mesi di vita di un bambino, è direttamente correlata a scelte egoistiche dei potenti. Prediligere l’avidità di denaro a svantaggio degli innocenti.
Alcuni potrebbero definirlo complottismo contro i Big dell’industria. Ma la verità è che si tratta solo della vecchia storia che conosciamo fin troppo bene, dove trarre profitto a discapito della salute della popolazione è ormai un must dell’epoca moderna.