venerdì 28 Marzo 25

L’Italia tra il ritorno al Nucleare e il problema delle scorie

di Enrico Venosi

Il Governo italiano deve individuare, tra le 51 aree individuate dalla Sogin, quella idonea per la costruzione del deposito unico che conterrà 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi. I ritardi nella scelta causano ulteriori costi e rischi ambientali per lo Stato

Il Consiglio dei Ministri ha approvato  il disegno di legge sul ritorno al nucleare. La propaganda su un inesistente nucleare di quarta generazione e sui piccoli“ reattori SMR, nasconde una costosissima inadempienza di questo governo e in particolare del ministro dell’Ambiente e della Transizione sulla gestione dei rifiuti nucleari.

Annualmente l’ente di gestione SOGIN presenta al Parlamento l’aggiornamento su scorie nucleari vecchie e nuove e su quanto riguarda il decommissioning del nucleare italiano. In particolare è in patologico e costoso ritardo la decisione del ministro Pichetto Fratin sulla scelta del territorio dove costruire il deposito unico per i rifiuti nucleari a bassa e bassissima attività radioattiva. La mappa dei territori idonei per la costruzione del deposito unico è nei cassetti del Ministro che parla di nuovo nucleare, elabora leggi che superano il no dei referendum passati ma lascia tranquillamente lievitare i costi di gestione dei rifiuti nucleari non scegliendo il territorio dove costruire il deposito.  

La SOGIN nel  gennaio 2021 ha pubblicato la mappa delle 67 aree, poi diventate 51, potenzialmente idonee ad ospitare il nuovo deposito di scorie nucleari e il governo tolse il segreto il 30 dicembre del 2021. Il Ministro Fratin è titolare del dicastero dell’ambiente dall’ottobre dal 22 ottobre del 2022 e solo dopo 723 giorni il suo ministero  ha avviato la fase di scoping prevista dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) sulla proposta di Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI) ad ospitare il Deposito Nazionale.

L’elenco delle 51 aree idonee è stato pubblicato sul sito del Ministero il 13 dicembre 2023.  L’Agenzia per la Sicurezza Nucleare ha presentato al Governo e al  Parlamento la sua relazione annuale sullo stato di gestione dei rifiuti nucleari. I dati da considerare e che dovrebbero indurre chi ha responsabilità di governo in questa contingenza storica segnata da guerre e terrorismo ideologico e religioso a decidere evitando l’incremento dei costi scaricati sul contribuente e sull’utente di energia elettrica.

L’Italia ha oggi 33 mila metri cubi di rifiuti radioattivi da smaltire. Il deposito unico nazionale potrà contenere 78 mila metri cubi di rifiuti a bassissima e bassa attività, e che comunque con una radioattività che decade a valori accettabili in  300 anni. Di questi 78 mila, come abbiamo visto, 33 mila sono già presenti in vari depositi sparsi nel territorio, ed altri 45 mila metri cubi verranno prodotti in futuro. Stando alle affermazioni di Sogin, il 64% dei rifiuti derivano dal vecchio nucleare e la rimanente parte da impianti nucleari di ricerca, dalla medicina nucleare e dell’industria. Sommessamente poi si comunica che ci saranno 14 mila metri cubi a media e alta attività che temporaneamente saranno conferiti al Deposito Unico Nazionale.

Le modalità di gestione e stoccaggio sono divere rispetto alla attività dei rifiuti. Ad attività bassissima e molto bassa, vale a dire fra 300 anni, avranno una radioattività ultra bassa (un millesimo di quella iniziale) i rifiuti sono messi in contenitori metallici e poi “ affogati” in moduli di calcestruzzo speciale. Successivamente saranno inseriti in celle di cemento armato ubicate nel deposito. Dal 5 gennaio 2021 al 14 gennaio 2022 si è svolta la lunga consultazione pubblica sulla Carta Nazionale delle Aree Idonee ad ospitare il Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico. Silenzio del Ministro e della Presidente del Consiglio fino a novembre 2024 e ora attendiamo il giudizio di VAS (valutazione ambientale strategica).

Trecentodiciotto soggetti hanno presentato osservazioni durante  lo svolgimento della consultazione pubblica. Successivamente si è tenuto un Seminario con le 6 regioni coinvolte. Ai sensi del D Lgs 31/2010 il Ministero della Transizione Ecologica, dopo aver acquisito il parere tecnico dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), si esprime entro 60 giorni, con approvazione  della CNAPI di concerto con l Ministro delle Infrastrutture.

Le aree idonee sono  6 in Piemonte, 22 nel Lazio, 1 in Puglia, 4 a confine tra Puglia e Basilicata, 9in Basilicata, 2 in Sicilia e 7 in Sardegna. La data finale per individuare il luogo in cui creare il deposito era dicembre 2023, con una possibilità di proroga fino al 2029. Ritardi che si trasformano in maggiori costi per la collettività e rischio per i rifiuti nucleari che giacciono in strutture datate. Nel tempo trascorso del Piano Sogin originario dal 2020 i costi sono aumentati di 3,42 miliardi per lo smantellamento (decommissioning) più almeno 1,5 miliardi per realizzare il deposito nazionale. Considerando anche il parco tecnologico si arriva tranquillamente a 10 miliardi. Valutazione di 5 anni fa.

Ogni anno l’Ispettorato per la sicurezza nucleare ha “registrato le medesime criticità degli anni precedenti” soprattutto a causa della “insufficiente disponibilità di capacità di deposito temporaneo in sito”, visto che il deposito nazionale che dovrebbe accoglierli tutti ancora non c’è e che la sua assenza vincola la prosecuzione delle attività di smantellamento a un continuo adeguamento non solo tecnico, ma anche di aumento della capacità della disponibilità di adeguati spazi”.

Molti depositi temporanei sono stati realizzati secondo i più avanzati criteri di sicurezza (vedi centrale di Garigliano) ma l’ISIN sottolinea che “in molti casi i rifiuti radioattivi continuano ad essere collocati provvisoriamente in strutture datate”. II caso davvero delicato è quello delle 13 tonnellate di combustibile nucleare irraggiato stoccate nel deposito Avogadro di Saluggia, in provincia di Vercelli, cioè nel collegio dove è stato eletto il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin. Combustibile, scrive l’Ispettorato per la Sicurezza Nucleare (ISN), conservato  “in strutture ormai vetuste e in attesa del trasferimento per il riprocessamento presso l’impianto di La Hague, che è rimasto bloccato anche nel 2023 perché l’Italia non ha potuto fornire alla Francia le garanzie richieste sui tempi di realizzazione del deposito unico nazionale“.

Ulteriori criticità che non suscitano responsabili da parte del MASE è la consapevolezza che quest’anno rientreranno da Francia (La Hague)  e Inghilterra (Sellafield) i residui del riprocessamento di 1900 tonnellate di combustibile delle ex centrali italiane. Rientreranno quest’anno circa  100 metri cubi di residui a media e alta attività generati dal trattamento “e l’inosservanza di questo termine rischia di comportare ulteriori e gravosi oneri a carico dello Stato Italiano”, scrive ISIN. Assistiamo al rilancio del nucleare di una quarta generazione che verrà e al rinvio della soluzione (o ad altro Governo?) sull’eredità del nucleare del secolo scorso.

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