di Angelo Venosi
La differenza tra intesa interistituzionale e accordo di programma. I dazi di Trump sull’acciaio. I diritti inviolabili, violati a Taranto
Nel decreto cosiddetto salva Ilva del 2023, uno dei tanti degli ultimi tredici anni si ribadiva la tutela di “salute, lavoro e ambiente”. Nella concretezza del reale, invece, le norme erano orientate verso la produzione d’acciaio, senza tutelare niente.
Studio SENTIERI, legittimazione OMS, studi di Arpa Puglia, di Asl di Taranto, Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Corte di Giustizia UE e, in ultimo, indagine Mediatore UE verso la gestione ritardataria da parte della Commissione UE della procedura di infrazione contro l’Italia. Procedura attivata dalla europarlamentare pugliese Valentina Palmisano. Tutti gli organismi citati, che attraverso indagini e riscontri, hanno indicato nel grave inquinamento prodotto dalla ex Ilva la causa di patologie e morti.
Voglio ricordare agli smemorati che la magistratura aveva assodato, che tra il 1995 e il 2005 vi erano stati 386 morti a causa alle emissioni delle acciaierie, accompagnate, nello stesso periodo, da centinaia di ricoveri ospedalieri per gravi malattie legate dall’esposizione ai numerosi inquinanti emessi in atmosfera dall’impianto: 237 casi di tumori maligni, 247 infarti, 937 ricoveri per malattie respiratorie, 17 casi di tumori infantili.
I periti, allora nominati della procura di Taranto, calcolarono un totale di 11.550 morti in sette anni (in media 1.650 l’anno), legate soprattutto a cause cardiovascolari e respiratorie, e 26.999 ricoveri, per la maggior parte per cause cardiache, respiratorie e cerebrovascolari. Le concentrazioni di agenti inquinanti e la proporzione di decessi e malati è altissima nei quartieri limitrofi alla zona industriale.
Secondo i dati ufficiali del rapporto Sentieri dell’Istituto superiore di sanità, nel 2003-2009 Taranto registrava (rispetto alla media della Puglia) un +14% di mortalità per gli uomini e un +8 per cento per le donne. La mortalità nel primo anno di vita dei bambini è più alta del 20%. Forti differenze ci sono anche su tumori e malattie circolatorie, con addirittura un +211 per cento rispetto alla media pugliese per i mesoteliomi della pleura. Li ricordo nel momento in cui si concede un’AIA per produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio con il ciclo integrale. Un’Aia valida 12 anni. Contestualmente, la patacca della “Intesa interistituzionale“ presentata dal Ministro del Made in Italy ed esposta alla presenza del Ministro della Transizione ecologica.
L’intesa interistituzionali e gli accordi di programma sono entrambi strumenti di collaborazione tra enti pubblici, ma differiscono per natura giuridica e finalità. Le intese, spesso definite, protocolli d’intesa, sono generalmente accordi quadro con valenza non vincolante, mentre gli accordi di programma sono veri e propri contratti che recitano impegni specifici e obblighi giuridici.
Doveroso ed onesto distinguere le intese di programma ed i contratti di programma. La prima è una mera e generica intesa a collaborare tra le diverse amministrazioni pubbliche competenti, senza che ciò implichi l’assunzione di impegni reciproci vincolanti. Sono accordi di carattere politico, dichiarazione di intenti, manifestazioni di una volontà collaborativa basati su di un piano di correttezza e di affidamento reciproco e non su di un piano strettamente giuridico. Il loro rispetto è subordinato al permanere dei vantaggi che derivano dalla collaborazione e dal coordinamento delle rispettive attività
I contratti di programma sono, invece, vincolanti per le parti contraenti ma, generalmente ed a differenza degli accordi di programma, si tratta di strumenti attuativi di un provvedimento di pianificazione preesistente nel caso specifico il Piano di decarbonizzazione. Una accordo, interistituzionale previsto dal decreto 152/2006: utile, per chiudere la procedura AIA? O per scaricare le responsabilità sugli enti locali? Ilva “verde“ implica un investimento di almeno 11 miliardi di euro.
Ilva uccisa da sovraproduzione, da ETS (Sistema di Scambio di Quote di Emissione), da dazi al 50%, dalla svalutazione del dollaro e infine dalla evidenza che nessun privato investirà un euro e nel contempo nemmeno lo Stato potrà fare nulla: vincolo Patto di Stabilità e Crescita, spese per armamento al 5% del PIL, aiuti alle imprese e alle famiglie.
Quando la classe politica italiana dimostrerà senso dello Stato e considerazione del bene comune, riconvertendo l’Ilva di Taranto su un modello di sostenibilità sanitaria e ambientale? Basta con la propaganda venduta come strategia industriale sostenibile.


