di Vittorio Galigani
Le criticità del calcio italiano, la discesa agli inferi della nostra Nazionale. Servono riforme di struttura. Tergiversare ancora non è’ più possibile
Le ultime, deludenti, prestazioni della nazionale di calcio stanno facendo ingrigire l’azzurro della “nostra” maglia. Le note dell’inno di Mameli cantato, a centrocampo dai nostri “moschettieri”, rimbombano a vuoto senza dare nessuna carica. Sembrano essersi smarriti tutti i significati di quella divisa. Snobbata da qualcuno, che non avverte in sè l’orgoglio di indossarla, svilita da altri con prestazioni indecorose. La squadra di calcio che rappresenta il “Tricolore” sta andando allo sbando.
I risultati della Nazionale sono lo specchio di un sistema che si sta smarrendo alla deriva e fa fatica a riguadagnare terra. Nel Paese dove si vive di pane e calcio non “crescono” più campioni.
Rifuggiamo dai luoghi comuni che si appigliano al fatto che non si gioca più in strada, riferendosi a quando si improvvisavano i pali delle porte con i libri di scuola, quando il più scarso di tutti portava il pallone (spelacchiato) e si giocavano partite che duravano tutto il pomeriggio. Spesso tornavamo a casa con le scarpe rotte (prendendo scappellotti) e le ginocchia sbucciate. I migliori emergevano sui campi, rigorosamente in terra battuta, degli oratori. La selezione era naturale. I genitori li rivedevamo all’imbrunire.
I tempi, con il trascorrere degli anni, si sono evoluti. Non si gioca più nei cortili o in strada. Ci sono le scuole calcio, gli impianti in sintetico di proprietà privata, gli scarpini e le divise griffate, ognuno con il proprio pallone. Mamme e papà aggrappati alle reti di bordo campo, tutti con la convinzione di avere in casa il campione. Le scuole calcio sono diventate un business e per giocare si paga. Spesso l’addestramento è affidato a dei tecnici improvvisati più dediti alla tattica che all’insegnamento della tecnica individuale e chi nasce con i piedi di gesso non migliorerà mai.
Dicevamo di un sistema che sta andando alla deriva. Ci si riempie sempre più la bocca parlando di inutili settori giovanili, di corposi (inesistenti) investimenti negli impianti, di docenti con tanto di diploma rilasciato dal Settore Tecnico, di obblighi organizzativi dettati dalle norme. Di 4 categorie obbligatorie di campionati Primavera, di Under 17, Under 15. Tutta aria fritta (è sotto gli occhi di tutti) perché, alla resa dei conti, saltano sempre più Società professionistiche perché non in grado di sostenere gli oneri finanziari anche della prima squadra.
In Italia, per tanti motivi, non crescono più talenti. I ragazzi italiani non trovano più spazio. Negli anni d’oro della nostra nazionale vivevamo di blocchi, quello della Juve piuttosto che quello del Milan o dell’Inter.
E’ nella storia della maglia azzurra una partita, vinta contro l’Ungheria nel 1947 vinta per 2 a uno, in cui l’allora Commissario Tecnico Vittorio Pozzo schierò dieci calciatori del grande Torino più Sentimenti IV, tra i pali, portiere della Juventus. Ma in quel periodo “l’invasione” degli stranieri, nel calcio nostrano, doveva ancora iniziare.
Successivamente fu autorizzato il tesseramento in serie A di tre soli calciatori d’oltre frontiera. Famoso il trio Green, Nordhal e Liedholm nel Milan che vinceva tutto negli anni cinquanta. In quei tempi i Club italiani attingevano molto dal mercato sud americano. Da Altafini a Sivori, da Angelillo a Sormani “oriundi” che hanno indossato con onore anche la maglia azzurra. Non dimenticando in tempi più recenti Falcao, Zico, Francescoli ed altri che hanno dato lustro al nostro massimo campionato. Erano gli anni d’oro della nostra serie A.
Sino alla sentenza Bosman della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel 1995, che liberalizzò le frontiere giudicando restrittivo il sistema dell’epoca, stabilendo che i calciatori nati in Paesi dell’Unione Europea potevano trasferirsi gratuitamente, alla scadenza del contratto, in altro Paese purché fosse appartenente all’Unione.
La sentenza impedì alla varie Leghe calcio europee di porre un tetto al numero di calciatori stranieri, qualora questo risultasse discriminatorio nei confronti degli atleti. Da quel momento fu possibile imporre limitazioni soltanto al tesseramento di calciatori nati in Paesi extracomunitari. Questo ebbe una ripercussione anche sui vivai in quanto, in alcuni Paesi, in particolare in Italia, i club manifestarono l’immediata tendenza a preferire l’acquisto di stranieri piuttosto che dedicarsi alla crescita dei ragazzi nazionali.
L’esempio recente più calzante? Nel 2023 il Lecce, dopo 19 anni, ha vinto il titolo italiano primavera battendo in finale la Fiorentina schierando una squadra composta totalmente da giovani stranieri comunitari e non.
Con il passare degli anni la tendenza all’esterofila si è affermata con partecipazione sempre più opprimente, in tutte le categorie professionistiche e non. Lo spazio, per i calciatori italiani, si è ridotto sempre più. La serie A è infarcita di giocatori d’oltre frontiera.
Nell’Inter di Suarez Jair ed Angelillo che vinceva la Coppa dei campioni trovavano spazio Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Facchetti ed altri nazionali di prestigio. Oggi Bastoni e Di Marco sono “eccezioni” in mezzo a una rosa composta prevalentemente da stranieri.
Nel Milan di Berlusconi giocavano certamente Gullit, Van Basten e Riijkaard ma avevano accanto, tra gli altri, Baresi, Ancelotti, Evani, Tassotti e Paolo Maldini tutta gente da maglia azzurra. Con un’amara considerazione che intristisce l’immagine del calcio di casa.
Oggi, per particolari condizioni economiche e di mercato, i migliori campioni stranieri sono solo di passaggio sul nostro territorio. Una toccata e fuga. Vedi, uno per tutti, l’esempio di Kvaratskhelia che fugge da Napoli, dopo aver vinto lo scudetto, non riuscendo a resistere al richiamo delle sirene del PSG. I francesi che hanno rifilato cinque “pappine” all’Inter, dando una lezione di gioco, nella recente finale della Champions europea.
Questo per significare le difficoltà del calcio italiano, in ritardo rispetto a Spagna, Francia Germania ed Inghilterra per risorse economiche ed espressione tecnico/tattica. Incapace, quindi, di portare a casa qualsiasi risultato a livello europeo nonostante l’invasione di calciatori stranieri che i mediocri risultati classificano in seconda fascia.
Se sono di seconda fascia gli stranieri immaginiamo allora le caratteristiche e le qualità tecniche dei calciatori italiani chiamati a coprire i pochi spazi che rimangono. E la maglia azzurra, di conseguenza, si ingrigisce.