domenica 13 Ottobre 24

Ciao Erasmo, mito malinconico del pallone tarantino

Ricorre oggi, 6 febbraio, il quarantacinquesimo anniversario della morte di Iacovone. La sua scomparsa non è un lutto elaborabile per la comunità jonica che continua ad osannare le sue gesta ed il suo ricordo

È uno di quegli appuntamenti, tristi, che segna lo scandire del tempo nella nostra città. Lo si attende come si fa col Natale, ma senza gioia. Porta ansia, di quella nera e solo così può essere perché oltre alla mancanza, a corroborare la disperazione ci pensa il rimpianto.
Sei febbraio 1978, oggi.
Quarantacinque anni e sempre le solite domande alle quali nessuno mai regalerà la soddisfazione di una risposta: chissà cosa avrebbe riservato il destino al Taranto se quell’Alfa maledetta fosse rimasta ferma in Viale Virgilio, sotto casa del Professor Bernardini. Chissà cosa sarebbe stato di quel ragazzo se la vita non gli avesse presentato il conto ad appena ventisei anni? Silenzio. Straziante silenzio, sempre.

Iacovone non è solo calcio. Iacovone appartiene a Taranto e non solo al Taranto. Erasmo Iacovone è stato, e certamente continua ad essere l’unico vero simbolo di questa comunità, effige capace ancora di travalicare decenni ed ormai generazioni, di unire una terra atavicamente divisa.
Meritorio di essere raccontato ai più piccoli come una favola, che però come nella più classica delle tradizioni tarantine, non risparmia nemmeno i bambini che l’ascoltano, finendo malinconica, per tradire il lieto fine.
È stato il sogno di una città che rullava inconsciamente su una rampa di lancio che poggiava però su di un burrone, è stato il picco più alto del sogno calcistico e sopratutto sociale di una perla molle ed indolente, che si è piaciuta sempre troppo, finita affogata nella propria superbia ed oggi regina di acciaio, ricatto occupazionale e rimpianto.

Iacovone non è un lutto elaborabile. Non sono bastati quarantacinque anni alla gente di Taranto per spezzare il cordone al quale probabilmente sia noi, che lui, ovunque egli sia, continuiamo ad essere strettamente dipendenti, ed alla fine, felici di esserlo.

Ti sia sempre lieve la terra, Erasmo.

Foto: Archivio Storico Franco Valdevies

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