Sì è spento uno dei più originali – e innovatori – allenatori di calcio. Memorabili le sue esperienze alla guida del Pescara. Il mio ricordo personale del professionista e dell’uomo
Ieri ci ha lasciato Giovanni Galeone, un uomo e un allenatore che ha segnato un’epoca del calcio italiano e che, per me, è stato prima un compagno di lavoro e poi un amico sincero. Aveva 84 anni, con lui se ne va una delle figure più autentiche e carismatiche della nostra storia sportiva.
Ho avuto la fortuna di lavorare al suo fianco alla fine degli anni ’80, quando lui sedeva ancora sulla panchina del Pescara e io, giovane Direttore Sportivo, cercavo di farmi le ossa dopo l’esperienza a Taranto. Galeone era già un tecnico stimato, reduce dall’impresa di aver riportato i biancazzurri in Serie A, la città adriatica lo aveva accolto come un profeta, un uomo capace di far sognare attraverso il gioco.
Giovanni divenne in breve tempo il “profeta del 4-3-3”. Le sue squadre giocavano un calcio spumeggiante, offensivo, fatto di coraggio e fantasia. Vederle era un piacere per gli occhi, non era solo una questione di risultati, ma di emozioni, di bellezza, di quella leggerezza che solo chi ama davvero il calcio sa trasmettere. Per lui lo spettacolo veniva prima di tutto, anche a costo di subire qualche gol di troppo, l’importante era che il pubblico uscisse dallo stadio felice, appagato, divertito.
A Pescara aveva in squadra ragazzi che sarebbero poi diventati protagonisti del calcio italiano, come Massimiliano Allegri e Gian Piero Gasperini, le sue mezze ali, come amava definirle. Due futuri allenatori di successo che da Galeone impararono molto più di un modulo, impararono una filosofia. Allegri, in particolare, mantenne con lui un rapporto profondo e affettuoso, tanto da considerarlo un maestro e un saggio consigliere nei primi anni della sua carriera in panchina.
E proprio ieri sera, quasi a chiudere simbolicamente un cerchio, Allegri e Gasperini si sono affrontati a San Siro, con le loro squadre (Milan e Roma) come se il destino avesse voluto regalare un ultimo omaggio al loro mentore.
Galeone era un uomo mite, riservato, dotato di un’intelligenza profonda e di una sensibilità rara. Non l’ho mai sentito alzare la voce, preferiva il dialogo, la riflessione, la comprensione. Con i suoi giocatori aveva un rapporto protettivo, quasi paterno. Li guidava, li correggeva, ma soprattutto li faceva crescere. Sapeva tirare fuori da ciascuno il meglio, sia tecnicamente che umanamente.
A Pescara viveva in una dimensione tutta sua, in quella nicchia tranquilla di Francavilla al Mare che tanto amava. Lì trovava la sua pace, lo si vedeva spesso seduto sugli scogli, a pescare granchi o a riflettere guardando il mare. Quella era la sua “panchina del silenzio”, il suo rifugio, il luogo dove ricaricava le energie e metteva ordine nei pensieri.
Dopo la nostra esperienza comune, non abbiamo mai perso i contatti. Ci siamo sentiti spesso, confrontandoci sulle nostre strade, sulle scelte, sulle evoluzioni di un calcio che cambiava. Ma Giovanni restava sempre fedele a se stesso, alla sua idea di bel gioco, alla sua discrezione, alla sua umanità.
Ci lascia un allenatore che ha insegnato calcio, ma anche un uomo che ha insegnato a vivere con passione e leggerezza, con rispetto e curiosità.
Chi lo ha conosciuto sa che dietro quello sguardo gentile si nascondeva una mente acuta, sempre pronta a trovare un’intuizione diversa, un dettaglio nuovo, un modo in più per migliorare.
Ciao Giovanni, grazie per quello che hai dato al calcio, a Pescara e a tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di starti accanto. Il tuo mare, quello che amavi tanto, oggi sembra un po’ più silenzioso.


