Al di là dell’entusiasmo presidenziale, va ricordato che lo Iacovone è e resterà, per sempre, un bene pubblico, patrimonio permanente della città dei due mari, e come tale, potrà essere gestito solo tramite bando di concessione, con requisiti precisi: solidità economica, capacità manutentiva, sostenibilità gestionale
C’è entusiasmo, tanto entusiasmo, nel messaggio social diffuso giovedì dal presidente del Taranto, Vito Ladisa. E anche una buona dose di pathos: «Cari amici e tifosi, il sogno del centro sportivo Iacovone prende vita!» Scrive, Ladisa, asserendo di aver ufficialmente già trasmesso manifestazione di interesse per la concessione pluriennale del nuovo Centro Sportivo Iacovone e di un futuro impianto che “batterà al ritmo del cuore della città”.
Parole senza dubbio suggestive. Capaci di accendere ancor più il sentimento, di appartenenza, di un popolo che vive, da sempre, di calcio e orgoglio rossoblù. Ma tra il dire e il fare e, in questo caso, tra il sogno e la realtà, c’è di mezzo un cantiere ancora aperto. Lo stadio Erasmo Iacovone, infatti, è oggi poco più che una grande distesa di gru, betoniere e macerie. La sua ricostruzione integrale è in corso nell’ambito dei Giochi del Mediterraneo 2026, e solo a giugno del prossimo anno sarà (ri)consegnato al legittimo proprietario, il Comune di Taranto.
In altre parole, lo stadio non esiste ancora. E’ ancora di la da venire. Altrettanto dicasi dell’ organigramma e dell’asset aziendale. Eppure, già si parla di affidamenti, concessioni, migliorie ed “eredità per la comunità”. Un po’ presto, forse. Perché, al di là dell’entusiasmo presidenziale, va ricordato che lo Iacovone è e resterà, per sempre, un bene pubblico, patrimonio permanente della città dei due mari, e come tale, potrà essere gestito solo tramite bando di concessione, con requisiti precisi: solidità economica, capacità manutentiva, sostenibilità gestionale.
Non sono sufficienti, al proposito, i buoni propositi o le dichiarazioni d’amore per la città: occorrono piani industriali, garanzie reali e soprattutto tempi e metodi concreti. Ecco allora che l’uscita di Vito Ladisa, se da un lato scalda il cuore dei tifosi, dall’altro lascia qualche perplessità sulla sua tempistica e sul suo reale significato.
È l’anticipazione di un progetto serio e già in cantiere? O semplicemente un messaggio d’incoraggiamento, un modo per rinsaldare il legame (al momento ancora flebile) tra società e piazza, in un momento di transizione? Probabilmente la verità sta nel mezzo. Perché il messaggio, nella sua forma, è positivo: parla di comunità, di identità, di futuro. Ma nella sostanza, arriva fuori tempo massimo, o meglio, troppo in anticipo. Non si può sognare di migliorare ciò che ancora deve (ri)nascere, né costruire castelli (o stadi) pigiando l’acceleratore sull’entusiasmo del popolo.
Detto questo, l’idea di fondo resta nobile: fare dello Iacovone non solo un impianto sportivo, ma un simbolo cittadino, una casa comune, purché il sogno si accompagni alla concretezza e le parole si traducano, a tempo debito, in atti, bandi, numeri e trasparenza. Perché a Taranto non si vive di suggestioni, di promesse, negli anni, ne sono transitate moltissime.
Ora servono fatti, programmazione, piani industriali e tempi certi. E solo allora si potrà dire, con convinzione, “Forza, uniti si vince!”, ma uniti davvero, non solo, a parole e sui social.


